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LAVORARE DIRETTAMENTE SULLO STICKING POINT?

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Di Giuseppe Gargiulo

Coallenatore Barbarian’s Parma/Sorrento Powerlifting

Tecnico Accademia Italiana Forza

 

Cos’è lo STICKING POINT? Lo sticking point è il punto di massimo rallentamento della fase positiva di una qualunque alzata o di un qualunque movimento con pesi liberi.

Un tipico approccio di lavoro allo sticking point  consiste nell’eseguire movimenti parziali in cui il punto più basso, cioè quello da cui ripartire, coincide proprio con l’altezza di questo punto.

Ad esempio, in panca ho lo sticking point a 10cm dal petto, quindi faccio una board press con 10cm di board, stessa cosa per uno squat (anche con box o pin) sopra il parallelo o uno stacco dai blocchi.

 

Nella “storia” del powerlifting anche in Italia, questa corrente di pensiero proviene soprattutto dall’eredità di una ERRATA INTERPRETAZIONE del metodo West Side.

Il problema fondamentale, che dovrebbe farci capire subito e indiscutibilmente che il lavoro non è nella giusta direzione, è il fatto che in tali esercizi, si riesca, banalmente, ad utilizzare più peso che nelle alzate di gara!!!

Se lo sticking point fosse veramente un punto debole per motivi muscolari o geometrici (leggi: se fosse veramente l’angolo in cui il leveraggio è complessivamente più svantaggioso),

ripartire da fermo da quel punto sarebbe ancora più difficile che arrivarci con l’inerzia data da quei cm di “rincorsa” dati dal tratto precedente.

Eppure è empiricamente palese che non sia così.

Il motivo è che, in ogni alzata, una fase prepara alla successiva

Quindi, se magari in panca abbiamo uno sticking point a 10cm dal petto, è perché il modo in cui arriviamo o usciamo dal petto, ci porta ad attuare una serie di compensi e di spostamenti delle articolazioni.

Esse ci renderanno apparentemente facile e istintivo il primo tratto, ma ci fanno arrivare a un certo punto, dove siamo fuori spinta e senza i giusti angoli e i giusti muscoli attivati.

La soluzione, a questo punto, rimane curare, cercando la causa caso per caso, la fase iniziale.

 

Esempio tipico di causa:

In panca usciamo bruscamente buttando avanti le spalle, e poco più su avremo il petto disattivato, perché ha terminato la sua corsa più utile, e quindi sticking point dove domineranno braccia e deltoidi anteriori.

 

 

Esempio di soluzione:

    • VARIANTE: panca salita e discesa lenta a velocità più costante, importantissimo uscire lentissimamente nel primo cm di spinta, mantenendo tutte le articolazioni sulla linea giusta (petto alto, dorso che non molla)
    • PROGRAMMAZIONE: carichi gestibile con buon buffer nella fase inziale del macrociclo, per poi mirare ad aumentare il più possibile la capacità di lavoro generale mantenendo la qualità ricercata.
    • INPUT TECNICO: Uscire dal petto attivando prima il dorsale e proiettando lo sterno in alto, per poi pensare di “allontanare” il bilanciere con le mani, solo un attimo più tardi. Appena il bilanciere riparte, si può “aprire tutto il gas” in maniera istintiva e vigorosa.

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PANCA PIANA – Ripetizioni possibili/ideali e ritmo dell’alzata

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Di Antonio Contenta

Docente Master Accademia Italiana Forza.
Allenatore SS Lazio Powerlifting 1900.
Presidente Barbell Academy Roma.
IPF Coach Level II.
Arbitro Nazionale Federazione Italiana Powerlifting.

 

Lo scopo di questo articolo non è quello di dare un’istruzione univoca sul numero di ripetizioni ideali da eseguire in una serie, nè tantomento di provare a stimare il numero limite di ripetizioni che una determinata percentuale di carico ci consente.
Ciò che è veramente interessante, è invitare a ragionare su come il numero di ripetizioni ideale possa essere influenzato dal livello tecnico dell’atleta e se possa essere opportuno uscire da una certa soglia.
In pratica:

Come facciamo, in generale, a stabilire quale sia il numero di ripetizioni ottimali rispetto a quelle possibili tirando alla morte una serie?

 

Mi capita raramente di filmarmi e di allenarmi in condizioni di tempo e recupero ideali, però restare a contatto con le alzate mi preme, sia per semplice passione, sia per allenarmi ad allenare.

 

ANALISI VIDEO

 

La serie mostrata nel video è un 80% matematico (132,5kg), che però adesso risulta piuttosto sovrastimato. Proviamo a stimare quali siano le ripetizioni possibili rispetto a quelle ideali (con un determinato carico), e ciò qui è abbastanza evidente:

  • ci sono 5 ripetizioni
  • raschiando ne uscirebbe una 6a
  • quelle “fatte bene” con un buon ritmo però sono le prime 3.

 

 

Nella quarta 4a succede una cosa anche abbastanza visibile: il petto sale troppo in anticipo rispetto alla discesa del bilanciere, e l’effetto che crea questa azione (involontaria) è che il bilanciere “cade” sul petto, a causa di un’eccessiva tensione parassita nella fase iniziale della fase eccentrica.

Questa è una piccola differenza esternamente (a un occhio non esterno) ma internamente è determinante, con un carico superiore al 95% in quel modo ci rimani sotto, invece con il ritmo delle prime 3 puoi combatterci.

 

Sarebbe stato meglio farne 3? Perchè ne ho fatte 5?

Allora, lavorare sempre nella soglia ideale non va bene, e organizzare la settimana per fare qualche ripetizione fuori soglia serve, può servire, ma il “dipende” è sempre abbastanza centrale in questi ragionamenti.

 

I fattori da considerare sono molteplici:

  • Quanto un carico è realmente problematico e quando è invece una mancanza di allenamento?
  • Quanti anni di lavoro ha addosso un soggetto?
  • Cosa comporta il lavoro fuori soglia? (Cioè) per quanto le mie prestazioni subiranno una lieve flessione?

Lavorare sempre sotto soglia è sbagliato quanto se non di più rispetto a lavorare sempre sopra.

 

In fase intensiva, infatti, deve esserci un bilanciamento di queste due situazioni, e il famoso “mettere sotto stress l’alzata”, è sostanzialmente questo.

Se in questo caso avessimo ragionato a semplice “ripetizioni di margine” ne avevo una, se ragioniamo di ritmo ideale invece potevo fermarmi alla terza. L’allenamento è stato 80% 4,4,3,5,4 (20r totali.)

Questi sono argomenti tipicamente da corso Expert ma non lo dico tanto per fare pubblicità (visto che abbiamo il problema contrario) quanto per ringraziarvi dell’incredibile risposta che ci avete dato al recente Corso Istruttori di Roma.

 

Quanto riesci ad analizzare lucidamente il tuo allenamento?

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[UNA VECCHIA PROGRESSIONE DI PANCA]

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Di Nicola Marini

Docente Master Accademia Italiana Forza.
Osteopata.
Coach e responsabile della StrengthLab Padova.

Ieri sera mentre ultimavo la stesura di alcuni programmi mi è capitata tra le mani una progressione di panca un po’ ingiallita dal tempo che avevo buttato giù circa un paio d’anni fa.

Il programma si tratta di una versione rivisitata delle ben note “maratone di panca” di Sheiko che all’epoca mi affascinavano particolarmente per l’elevata mole di lavoro con:

  • carichi in soglia dell’80%
  • andando però spesso a pizzicare qualcosa di più pesante

ESPRESSIONE QUALITATIVA DELLA FORZA

 

l’obbiettivo non è del banale CONDITIONING come molti programmi a volume si proponevano di fare (leggi “sopravvivere gradualmente a un numero più elevato di ripetizioni con un certo carico”), è vero e proprio MIGLIORAMENTO, è

rendere facili kg che inizialmente non lo sono, creando al contempo la base muscolare utile a sostenere il continuo giocare al rialzo del programma stesso.

Tutto questo è possibile esclusivamente lavorando in un modo che non ci porti sempre a dover sopravvivere a sforzi lunghi ed estremi, ma ad esprimere un livello di tensione sempre più elevato e con una miglior coordinazione.

 

CARICHI ONDULATI

 

Ricordo le maratone tra gli allenamenti di panca più divertenti e utili che abbia mai sperimentato, un po’ per il continuo ondulare delle intensità che in una serie ti insegnano a fare panca e in quella successiva ti chiedono di ripetere ciò che hai imparato con più peso tra le mani, un po’ per le richieste molto variegate delle sedute che spaziano dall’esprimere forza sulla singola ripetizione al farne 7 di fila, ma sempre:

utilizzando carichi che ti permettano di gestire quelle 7 ripetizioni allo stesso identico modo della singola,

senza costringerti a compensi poco utili a % elevate.

 

Ho provato diversi tipi di alternanza di stimoli tra le varie sedute ma quella pubblicata qui sotto è anche quella empiricamente meglio riuscita; testata e ritestata fino alla noia ha sicuramente saputo offrire un bel margine di miglioramento a chiunque l’abbia portata a termine, le regole dei giochi sono piuttosto semplici: se non vi mangiate i fermi al petto migliorate per forza.

Specifico meglio, non si tratta di un programma completo, bensì di una progressione, di un elenco di sedute di panca da incasellare settimanalmente sotto la dicitura “GIORNO PESANTE/STRESSANTE”.

Mi piacerebbe molto che la provaste su di voi o su di un vostro atleta per poi magari ragionare assieme su come renderla ancor più efficace.

 

 

  • Sett 1 : 5x5x70%
  • Sett 2 : 5×50% , 4×60% ,3×70% , 2x3x75% , 1×80% , 4×75%, 2x2x80%
  • Sett 3 : 5x5x75%
  • Sett 4 : 5×50% , 4×60% ,3×70% , 2x2x80% , 1×85%, 3×80% , 4×75%
  • Sett 5 : 80% 3Rx6S
  • Sett 6 : 5×50% , 4×60% ,3×70% , 4×75% , 2x3x80% , 1×85%, 2x2x80%, 1×85% , 4×75% , 5×70% , 7×60%
  • Sett 7 : 80% : 3, 5, 4, 3, 4 oppure 5x5x80%
  • Sett 8 : 5×50% , 4×60% ,3×70% , 2x3x80% , 2×85%, 1×90% , 1×85% , 2x3x80% , 4×75% , 5×70% , 7×60%
  • Sett 9 : 85% 3Rx6S
  • Sett 10 : 5×50% , 4×60% , 3×70% , 5×75% , 4×80% , 3×85% , 2x1x90% , 2×85% , 3×80%, 4×75% , 5×70% , 7×60%
  • Sett 11 : 85% : 3 , 5 , 4 , 3 , 4
  • Sett 12 : 5×50% , 4×60% , 3×70% , 5×75% , 4×80% , 3×85% , 2×90%, 2×85% , 1×90% , 3×80% , 4×75% , 5×70% , 7×60%

 

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SQUAT HIGH BAR COME COMPLEMENTARE PER IL LOW BAR

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Di Giuseppe Gargiulo

Coallenatore Barbarian’s Parma/Sorrento Powerlifting

Tecnico Accademia Italiana Forza

 

PERCHè TALVOLTA CONVIENE UTILIZZARE L’HIGH BAR?

 

Il termine complementare, in questo caso, è improprio, dato che si tratta più di una VARIANTE (qui entriamo nel campo delle definizioni), in ogni caso analizziamo come può essere utilizzato lo squat high bar per un atleta che ha il low bar come alzata principale.

Lo scopo principale dell’alzare il bilanciere, come spesso affermato da Antonio Contenta o Carola Garra, è sicuramente quello di lavorare con un appoggio del bilanciere stesso più comodo e che quindi porta meno tensioni parassite, le quali:

corrompono sia la stabilità nella gestione di tutto il tronco, e, di conseguenza, la distribuzione del peso sul piede, sia il timing dell’alzata.

 

.

 

LE PROBLEMATICHE DEL LOW BAR SUI SOGGETTI LONGILINEI

 

Oltre alle motivazioni esposte sopra, se anche l’atleta riesce a tenere un buon assetto a bilanciere basso, alcuni soggetti con femore lungo e busto corto, cosa che già porta ad essere molto inclinati, mettendo il bilanciere particolarmente basso hanno un grosso vantaggio meccanico, ma un’inclinazione del busto ancora più estrema.

  • Questo porta facilmente l’anca a un fine corsa prima di rompere il parallelo, e quindi a una probabile retroversione del bacino (qui contano anche altri fattori, come stance, scarpa e mobilità).

Proprio su soggetti di questo tipo, preferisco tenere un volume sul low bar piuttosto ridotto, in modo da avere un tempo complessivo in quella posizione forzata, quanto più ridotto possibile.

  • Contemporaneamente, macinare del volume in high bar è una soluzione sicuramente meno tassante e riequilibrante a livello muscolare per il maggior coinvolgimento dei quadricipiti, solitamente indietro in questi soggetti, rispetto agli estensori dell’anca.

 

.

 

Esempio tipico delle tre sedute di squat di due settimane del programma di Ylenia Marrone:

 

SETTIMANA 1

Seduta 1 (stimolante, stessor volume): 70% 8x4s high bar

Seduta 2 (rigenerante, variante tecnica adatta a lei): fermo sopra il parallelo in discesa 70% 3x5s

Seduta 3 (pesante): mav1@8 + 83% DEL MAV1 4×4 + mav1@8 da stanca

 

SETTIMANA 2

Seduta 1 (stimolante, stessor volume): 75% 5×5 high bar

Seduta 2 (rigenerante, variante tecnica adatta a lei): fermo sopra il parallelo in discesa 70% 4×4

Seduta 3 (pesante): mav1@8 + 87% DEL MAV1 3×3 + mav1@8 da stanca

 

75% 5×5 in high bar.

Considerando la prestazione assoluta minore che questa variante consente, questa è una serie molto impegnativa sulla carta. Le prime due ripetizioni sono ottime, andando avanti il bilanciere scappa leggermente avanti. Questo è il difetto principale su cui stiamo lavorando.

A giugno 2019, Ylenia ha chiuso 125kg in gara FIPL, mentre pochi giorni fa, in palestra, ha chiuso 140kg sempre allo stesso peso corporeo di 57kg, una prestazione superiore all’attuale record italiano Junior, da replicare in gara, corona virus permettendo!

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Stacco da terra, il grande equivoco

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Di Mauro Camilleri

AIF elite strenght trainer

Diplomato corso alta formazione 2018

Laureando in scienze della nutrizione

Personal trainer Fit Express Torino

Coach Silverback Torino

 

Ad oggi, molti frequentatori delle palestre che si avvicinano allo stacco da terra, sono convinti che esso, piuttosto che una naturale alzata con postura fisiologica, voglia dire una schiena perfettamente “dritta”, una simmetria di proporzioni e linee che farebbero invidia persino ad un geometra. Ma siamo sicuri di questo? A tale domanda dovrebbe corrispondere una sola risposta.

“Tutti gli esseri umani sono identici tra loro, l’uno il clone dell’altro? No”.

La risposta può essere affermativa o negativa (in questo caso) solo se supportata dalla letteratura scientifica, dalla logica o dalla pratica costante sul campo.

 

Dunque, qual è la mia idea di stacco da terra?

 

 

    1. Movimento più naturale possibile. Troppo spesso noto un eccessivo controllo nell’ esecuzione, ciò porta inevitabilmente al ribaltare un movimento di per sé innato (apri qui, chiudi li, fai la capriola e tira ecc..).
    2. Una perfetta sinergia muscolare dettata da un timing efficace di alzata. Ognuno di noi ha un “Timing potenziale di attivazione” che gli consente di imprimere la massima forza al bilanciere e quindi massimizzare la sinergia muscolare per vincere la forza di gravità che grava sul suolo. Il mio consiglio è quello di essere “lentissimi” se non abbiamo ancora raggiunto almeno un livello intermedio nell’esecuzione e nello sviluppo dell’alzata.
    3. Non alterare le curve fisiologiche della schiena in dinamica.

Vorrei soffermarmi in particolar modo su questo punto. Innanzitutto la schiena, amici, NON è DRITTA! Ci siamo evoluti in migliaia di anni e il rachide umano ha assunto una forma non dritta ma a curve (lordosi, cifosi). Molto spesso, l’esecuzione di uno stacco da terra ben fatta presuppone una schiena iperestesa (NON FISIOLOGICA) e un set up forzato (NON FISIOLOGICO).

Alcuni studi in letteratura (se volete vi mando il link) e molti esempi pratici, sostengono che il mantenimento delle curve fisiologiche della schiena durante l’alzata, possa portare ad un minor rischio di infortunio della stessa. Quindi:

una schiena dalla postura poco estetica nella vita quotidiana, non potrà mai avere una bella forma durante il sollevamento di un oggetto da terra (bilanciere, cassetta d’acqua o altro).

Allora perché ostinarsi ad aprire il petto, addurre le scapole mantenendo la schiena dritta???? È tutto così superficiale? Ahimè NO.

 

 

IPOTETICO ESEMPIO

Parliamo di un possibile esempio pratico per chiarire meglio il concetto, quindi prendiamo come riferimento un ragazzo fortemente “cifotico” (schiena a “c”, per intenderci). Partiamo dall’idea di rispettare la fisiologia e la postura di ognuno di noi: nel suo caso, ahimè, nemmeno a cannonate sarete in grado di cambiargli postura che tra l’altro, porterebbe all’aumento del rischio di infortunio, in quanto quella è la sua conformazione.

Il suo corpo, magari per decine di anni, ha subito adattamenti posturali e non saremo di certo noi a cambiare una postura ormai conclamata anzi, in questo caso, potrebbe essere deleterio. E allora cosa possiamo fare? “Rispettare il suo movimento” . Ovviamente, gli devono essere dati degli input al fine di educarlo al movimento. Nonostante questi accorgimenti dobbiamo comprendere che ogni caso, un soggetto cifotico rimarrà CIFOTICO.

Un set up forzato in iperestensione è sicuramente bello dal un punto di vista estetico ma a carico alto o allenatante, CROLLEREBBE PRIMA CHE IL BILANCIERE SI STACCHI DA TERRA. Vi immaginate un’auto che va a benzina costretta a viaggiare a metano? Lascio a voi le considerazioni.

 

 

Riabilitazione e stacco da terra

 

Studi recenti hanno dimostrato che eseguire, nei soggetti con dolore lombo sacrale, lo “STACCO DA TERRA”, nel lungo termine, può rilevarsi un’arma efficace nella riduzione del dolore cronico e nello svolgere al meglio le attività quotidiane. Dopo aver esaminato diversi studi, ho deciso di analizzarne uno in particolare, “Which patients which low back pain benefit from deadlift training? Berglund L, Aasa B, Hellqvist J, Michaelson P”, che mirava a valutare quali fattori predittivi potrebbero abbassare l’intensità nel dolore con stacco da terra.

Lo studio:

Trentacinque partecipanti, con dolore cronico lombo sacrale, sono stati addestrati per imparare l’esercizio, stacco da terra, sotto la supervisione di un fisioterapista con esperienza nel powerlifting. Il fattore principale predittivo della buona riuscita dell’abbasamento della soglia del dolore è stato l’essere positivi al test Biering-Sorensen, che verifica la resistenza dei muscoli estensori della schiena e dell’anca. Infatti, dopo un periodo di allenamento di 8 settimane, quelli che sono risultati positivi al test hanno mostrato meno disabilità, minore intensità del dolore e prestazioni più elevate con l’allenamento dello stacco da terra. Il test di Biering-Sorensen è stato il predittore più solido per beneficiare dell’esercizio.

Potrebbe, quindi, essere interessante far utilizzare lo stacco da terra, come esercizio riabilitativo, a soggetti con lombalgia.

In particolare, su clienti che hanno sufficiente resistenza agli estensori della schiena e dell’anca, l’allenamento con lo stacco da terra consentirebbe di ridurre o, addirittura, eliminare il dolore.

Pratica:

Un anno e mezzo fa un ragazzo durante il Fit check (anamnesi iniziale per affrontare un percorso di allenamento insieme) lamentava da diversi anni, se non decenni, un dolore cronico alla schiena che lo portava a non riposare bene la notte.

Dopo aver fatto un percorso di rieducazione motoria, potenziamento dei muscoli del core (muscoli che stabilizzano il tronco), stretching di alcuni muscoli fortemente retratti abbiamo utilizzato lo stacco da terra con bilanciere come medicina nel cronico. Ad oggi, il ragazzo (48 anni, operaio in fabbrica) non lamenta da un anno nessun tipo o fastidio alla schiena ed ha esordito a febbraio come agonista in una gara nazionale di specialità stacco da terra.

 

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Preparazione atletica: Stacco Regular? Sumo? Quadra Bar? Cosa scegliere e perché.

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di Stefano Tintori.
Elite Strength Trainer AIF
Diplomato Corso Alta Formazione 2018
Coach Bergamo Powerlifting.

 

Lo stacco da terra è una delle armi più efficaci da utilizzare durante la preparazione atletica di qualsiasi sportivo. Il transfer sul gesto atletico è indiscutibilmente elevato e persino nelle discipline più aerobiche risulta essere un esercizio che se eseguito correttamente è praticamente insostituibile.

 

Ma quale tipo di stacco devo scegliere per i miei atleti? Quello più facile? Quello in cui fanno più kg?

Una domanda che negli anni mi sono fatto spesso. Provando, sbagliando, riprovando e imparando sul campo.

Un atleta strutturalmente sano che si allena con i sovraccarichi e ha l’obiettivo di potenziare il suo fisico per essere più prestante nel suo sport deve fare stacco da terra REGULAR. Punto.

“Ma un giocatore di basket alto due metri è meglio che faccia sumo così sfrutta meglio le leve.”

No, un giocatore di basket non ha come obiettivo il podio alla gara di stacco in FIPL ma potenziare la catena cinetica posteriore e costruire un core forte e resistente ai numerosi urti, ai balzi e agli atterraggi che riceverà durante la partita. Qual è il miglior modo per allenarlo? STACCO REGULAR.

 

 

 

 

Questo non vuol dire che fare sumo sia più facile, anzi.

Semplicemente, a livello biomeccanico e di conseguenza muscolare, lo stacco regular rispetto al sumo costringe il soggetto ad angoli di lavoro molto più tassanti. Lo stacco sumo, quello fatto come si deve, cerca di bypassare questi angoli cercando di mettere l’atleta in una posizione di spinta più vantaggiosa possibile. Una scelta che richiede molta più competenza tecnica da parte del soggetto, ma allo stesso tempo ne diminuisce drasticamente l’impatto sistemico dell’esercizio. In un contesto di preparazione atletica dove spesso ci si trova a dover massimizzare la resa dell’allenamento in sedute più o meno brevi e con una bassa frequenza, lo stacco regular eseguito anche solo un paio di volte alla settimana si rivela il mezzo ideale per indurre enormi adattamenti neuromuscolari sull’atleta.

“Ma un soggetto scoordinato non riesce a fare stacco regular o magari facendolo si fa del male, molto meglio usare la Quadra Bar che così è più facile e sicura per la schiena.”

 

No, se un soggetto non ha la coordinazione necessaria per fare uno stacco da terra regular, cosa a mio parere GRAVISSIMA a qualsiasi livello, bisogna fargli acquisire la giusta percezione del proprio corpo nello spazio, fargli percepire il suo baricentro e metterlo in condizione di spingere senza mai perdere il controllo. Quale miglior modo per farlo? STACCO REGULAR.

Analizzando la Quadra bar/trap bar/hex bar, insomma chiamatela come preferite, lo ritengo un esercizio troppo semplificativo a livello motorio. Un sostitutivo più dello Squat che dello Stacco e ne limiterei l’uso solo in quei casi estremi in cui un soggetto infortunato o con particolari patologie non possa caricarsi un bilanciere sulle spalle.

 

 

Fare stacco da terra regular in sicurezza è davvero alla portata di chiunque. Tra le 3 alzate fondamentali è sicuramente l’esercizio più semplice da apprendere a livello motorio. E’ vero anche però che può rivelarsi il più pericoloso se eseguito a caso e senza una corretta impostazione tecnica. Proprio per questo motivo spesso viene limitato o addirittura tralasciato nelle preparazione atletiche. Un errore a mio parere madornale dettato solo ed esclusivamente da una mancanza di competenze da parte dei preparatori atletici.

 

Ecco uno schema di 4 settimane per insegnare ad un soggetto con scarse capacità coordinative e/o poca predisposizione fisica ad eseguire uno stacco da terra regular sicuro ed allenante.

 

Settimana 1

 

  • Giorno 1: Cerca il peso che ti permette di fare 6 rep con totale controllo poi effettua un backoff di 4×3 serie col peso raggiunto (se in difficoltà da terra partire da rialzi di altezza necessaria per rendere la spinta facile e intuitiva all’atleta)

 

  • Giorno 2: Peso trovato giorno 1, Complex 3×5 serie, le 3 ripetizioni di ogni serie così suddivise:

1 fermo incastro 3’’ salita 3’’

1 Salita in 5”

1 velocità normale

Settimana 2

 

  • Giorno 1: Cerca il peso che ti permette di fare 5 rep con totale controllo poi 3×3 serie (se utilizzati i Rialzi la settimana precedente prova ad abbassarli leggermente)

 

  • Giorno 2: 90% del Peso trovato giorno 1, Complex 3×5 serie, le 3 ripetizioni di ogni serie così suddivise:

1 fermo incastro 3’’ salita in 5’’

1 salita 5’’

1 velocità normale

 

Settimana 3

 

  • Giorno 1: Cerca il peso che ti permette di fare 4 rep con totale controllo poi -20% 4×3 serie (se utilizzati i Rialzi abbassarli ulteriormente)

 

  • Giorno 2: 80% Peso trovato giorno 1, Complex 3×5 serie, le 3 ripetizioni di ogni serie così suddivise:

1 fermo incastro 3’’ salita 3’’

1 Salita in 5”

1 velocità normale

 

Settimana 4

 

  • Giorno 1: Cerca il peso che ti permette di fare 3 rep con totale controllo poi -30/40% 5×3 serie (se utilizzati i Rialzi abbassarli ulteriormente o eliminarli del tutto)

 

  • Giorno 2: 70% Peso trovato giorno 1, Complex 3×5 serie, le 3 ripetizioni di ogni serie così suddivise:

1 fermo incastro 3’’ salita in 5’’

1 Salita in 10’’

1 velocità normale

Ripetere pure per altre 4 settimane se necessario, magari sviluppandone la progressione e le varianti del complex in base ai difetti presentati del soggetto.

 

In conclusione invito tutti gli atleti al di fuori del Powerlifting agonistico, soprattutto quelli poco dotati fisicamente, a non accontentarsi di soluzioni alternative fine a se stesse, investite il vostro tempo e con pazienza imparate a fare stacco da terra regular, ne trarrete vantaggi enormi sia condizionali che coordinativi.

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Preparazione Atletica: Forza Esplosiva. È davvero così complicato allenarla?

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di Stefano Tintori.
Elite Strength Trainer AIF
Diplomato Corso Alta Formazione 2018
Coach Bergamo Powerlifting.

 

Forza massimale, forza esplosiva e “trasformazione”

 

In qualsiasi sport al giorno d’oggi essere più rapidi, più forti e resistenti è fondamentale per aver maggiori possibilità di vincere. In particolare la forza esplosiva ovvero la capacità di esprimere elevati gradienti di forza nel minor tempo possibile è la chiave di volta per fare la differenza sul campo. Di conseguenza i preparatori atletici di tutto il mondo dedicano gran parte dell’allenamento a questa capacità condizionale andando ad impostare tutti quei cosiddetti lavori di “trasformazione” mirati appunto a trasformare la forza massimale in forza esplosiva.

Lavori di pliometria, scatti, lanci, agility ladder e tutto quello che vi viene in mente. Ci si può davvero sbizzarrire con due miliardi di esercizi, o drills come le chiamano in America, che hanno tutte un unico obiettivo: far lavorare il SNC rendendolo più reattivo ed efficace.

Tutta roba proponibile già a bambini di 8/10 anni che col tempo e la pratica andranno a sviluppare un’efficienza motoria adeguata al proprio sport.

Con la crescita dell’atleta verranno poi, si spera, associati a questo tipo di lavoro dei lavori di forza massimale e qui invece secondo me c’è poco da sbizzarrirsi. Nel senso che per aumentare la forza massimale il corpo libero, gli elastici e le palle mediche non sono più sufficienti e bisogna avvicinarsi al mondo del bilanciere scegliendo principalmente tra 2 strade: la pesistica olimpica e il powerlifting. Chi per farvi diventare più forti vi propone altro vi sta solo facendo perdere tempo.

Queste due discipline possono essere anche mixate tra loro, ma, indubbiamente, la pesistica olimpica richiede un entry level tecnico estremamente più alto del PL che invece può risultare allenante già dalle prime fasi di apprendimento.

Eh già, perché, incredibile ma vero, l’utilizzo del bilanciere necessità di essere imparato.

 

 

Nulla di trascendentale e assolutamente alla portata di tutti ma bisogna dedicarci il giusto tempo ed acquisire praticità nel muoversi con il bilanciere. Ed è questo l’anello debole della catena del processo di trasformazione da forza massimale a forza esplosiva che purtroppo riduce drasticamente l’efficacia delle preparazioni. Poca padronanza del bilanciere che si traduce in lavoro poco qualitativo (a volte pure pericoloso) che inevitabilmente limita i successivi guadagni in fase poi di trasformazione.

Perché per trasformare la forza massimale è necessario prima costruirla e per farlo non basta mettere un ragazzo sotto un bilanciere e dirgli di andare su e giù pregando non si faccia del male.

ESEMPIO PRATICO

Per dimostrare questa idea ho proposto un semplice protocollo di 3 mesi di forza massimale a 8 giocatori di basket (militanti tra Promozione, serie D e serie C) escludendo completamente qualsiasi tipo di lavoro pliometrico o di trasformazione in generale.

I soggetti avevano anni di allenamento alle spalle ma una scarsa familiarità con il bilanciere. Per monitorare i risultati ho eseguito dei test di salto in lungo e in alto prima e dopo il protocollo d’allenamento.

 

Giorno 1

Giorno 2

Settimana 1

Sq F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Bp 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Dl 5×5 con peso raggiunto in G1

Settimana 2

Sq D5S5 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F2 a 1cm dal petto trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl S5 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Bp 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Dl 5×5 con peso raggiunto in G1

Settimana 3

Sq F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Bp 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Dl 5×5 con peso raggiunto in G1

Settimana 4

Sq D5S5 trova tripla

poi -5% 3 serie normali

Bp F2 a 1cm dal petto trova tripla

poi -5% 3 serie normali

Dl S5 trova tripla

poi -5% 3 serie normali

Sq 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Bp 5×5 con peso raggiunto in G1

 

Dl 5×5 con peso raggiunto in G1

Settimana 5

Sq F2 sopra al parallelo trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp 3 fermi in discesa trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F2 a 1cm da terra trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV5 poi 3×3

 

Bp MAV5 poi 3×3

 

Dl MAV5 poi 3×3

Settimana 6

Sq F2 pin al parallelo trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV4 poi -10% 4x3s

 

Bp MAV4 poi -10% 4x3s

 

Dl MAV4 poi -10% 4x3s

Settimana 7

Sq F2 sopra al parallelo trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp 3 fermi in discesa trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F2 a 1cm da terra trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV3 poi -20% 5x3s

 

Bp MAV3 poi -20% 5x3s

 

Dl MAV3 poi -20% 5x3s

Settimana 8

Sq F2 sopra al parallelo trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F3S3 al petto trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F5 incastro trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV2 poi -30% 6x3s

 

Bp MAV2 poi -30% 6x3s

 

Dl MAV2 poi -30% 6x3s

Settimana 9

Sq F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp 3 fermi in discesa trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV4 poi -10% 4x3s

 

Bp MAV4 poi -10% 4x3s

 

Dl MAV4 poi -10% 4x3s

Settimana 10

Sq F2 sopra al parallelo trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F5 al petto trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F5 incastro F2 ginocchio trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV3 poi 1x3s

 

Bp MAV3 poi 1x3s

 

Dl MAV3 poi 1x3s

Settimana 11

Sq F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F3S3 trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV2 poi -30% 6x3s

 

Bp MAV2 poi -30% 6x3s

 

Dl MAV2 poi -30% 6x3s

Settimana 12

Sq F2 sopra al parallelo trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Bp F5 al petto trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Dl F5 incastro F2 ginocchio trova tripla

poi -5% 3 serie normali @8

Sq MAV1 poi -40% 7x3s

 

Bp MAV1 poi -40% 7x3s

 

Dl MAV1 poi -40% 7x3s

 

Alla fine di ogni allenamento veniva eseguito 1 complementare di tirata ad alte ripetizioni.

La frequenza d’allenamento è stata davvero minima (2 allenamenti a settimana) eppure tutti gli atleti hanno avuto significativi miglioramenti nei test.

 

RISULTATI GRAZIE AL SOLO BILANCIERE

 

Con una media di incremento di +9.8cm nel salto in lungo e +5.2cm nel salto in alto. Ciò significa che dopo solo 3 mesi saltavano di più pur non avendo mai fatto alcun tipo di lavoro di trasformazione.

 

 

Perché?

Perché dedicandosi completamente all’apprendimento di squat, panca e stacco e arrivando a padroneggiare determinati kg il loro corpo ha messo in atto una serie di importanti adattamenti neuromuscolari.

Nonostante sia mancata la famosa “trasformazione”, questo protocollo di forza massimale ha avuto un effetto immediato sul sistema rendendolo più efficace in un movimento esplosivo come il salto.

Per assurdo spesso si è andato a lavorare con varianti caratterizzate da fermi e tempi rallentati, la cosa più lontana in assoluto dalla dinamica di un salto, eppure proprio questo tipo lavori hanno permesso di sviluppare una capacità coordinativa che si traduce in attivazione muscolare più rapida ed efficiente.

Questo vuol dire che i lavori di trasformazione da forza massimale a forza esplosiva sono inutili?

Assolutamente no. Diventano inutili però nel momento in cui la fase di forza massimale viene trascurata, snobbata o semplicemente impostata malamente. Risultano utilissimi invece per massimizzare l’efficienza neurale una volta costruita una solida base di forza che in ogni caso andrà continuamente ciclizzata e mai abbandonata.

 

CONCLUSIONI E IDEE

 

Sono personalmente convinto che il focus vada quindi spostato dai mille lavori di trasformazione alla parte di potenziamento. Per costruire alzate solide che permettano davvero di modulare l’intensità dei micro e dei macrocicli ottenendo finalmente il controllo dello stato di forma dell’atleta. Altrimenti resterà sempre una continua corsa all’esercizio più assurdo e innovativo, al macchinario all’avanguardia ed in generale al complicarsi la vita quando magari tutto ciò che il mio atleta ha bisogno è semplicemente imparare a muovere un sovraccarico con uno schema motorio solido che gli permetta la massima efficienza neurale e di conseguenza il massimo reclutamento muscolare.

Banale?

A quanto pare no. Basta guardare come tanta gente, anche di alto livello, si muove malissimo sotto al bilanciere.

“Ma è un giocatore di rugby mica un powerlifter”

Questa affermazione non può e non deve essere una scusa per uno squat alto o completamente scarico di anca. Non può essere un lasciapassare per una panca piana fatta con le spalle fuori o uno stacco da terra senza un briciolo di timing in spinta. Perché è lavorare in questo modo che porta gli infortuni durante la stagione e rende la preparazione atletica un qualcosa di imprevedibile, contorto e complicatissimo quando in realtà è molto ma molto più semplice di quello che si crede.

“La semplicità è la suprema sofisticazione”

diceva Leonardo Da Vinci, che non so quanto facesse di panca ma sicuramente non rimbalzava al petto per essere più esplosivo.

Stefano Tintori

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Stacco da terra – il trazionamento del bilanciere

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Di Alessio Erba.
Coach presso Crossfit Lambrate
Barbarians Powerlifting Milano
Tecnico AIF

Iniziamo in medias res, dato che si è spesso parlato, in varie occasioni, del posizionamento e della discesa sul bilanciere nello stacco da terra.

Dopo aver costruito una posizione di partenza geometricamente e biomeccanicamente efficiente, inizia la prima fase attiva nello stacco da terra, il trazionamento. È un momento cruciale che condizionerà a cascata tutte le fasi seguenti, dal liftoff alla chiusura.

Un incastro vincente ha principalmente due obbiettivi fondamentali:

  • Stabilizzare il carico sul piede e generare una base solida di appoggio sulla quale imprimere spinta a terra e non scadere in una brutale tirata. Questo perché, come precedentemente citato nella introduzione, lo stacco da terra risulta esente da fase eccentrica.
  • Infine, estremamente importante, il miglioramento del leveraggio e degli angoli del alzata, con il fine di massimizzare l’efficienza della spinta stessa, questa componente è anche chiamata allungo.

Partiamo dal presupposto che il nostro corpo è estremamente sensibile agli input di carico che il bilanciere stesso gli pone. Nello stacco da terra però, per i motivi sopracitati,

il feedback di pesantezza di carico non è totale fino al momento in cui andiamo ad imprimere forza.

Per creare la tensione necessaria alla stabilizzazione dobbiamo necessariamente passare dalla percezione del carico nella nostra mano.

Figura A – Valentino Durastanti, fase di “appoggio”

 

Partire a vuoto (figa A) senza avere focus su di essa porterebbe ad assorbire tutto il carico del bilanciere in un lasso di tempo molto più breve, dando dunque feedback negativi e percependo il carico più pesante.

 

 

Figura B – Valentino Durastanti, bilanciere messo in trazione

 

Il caricamento della mano con il peso del bilanciere è causato da un primo trazionamento (fig B), generato dalla contrazione dei muscoli dorsali che una volta attivati portano a quella tipica sensazione di pretiraggio ed allungamento delle braccia. Assecondando le sensazioni senza irrigidire la muscolatura del tratto toracico della schiena, l’effetto sarà di depressione scapolare e, conseguentemente, noteremo in maniera evidente un drop del spalla verso il basso. Questo metodo ci permette di percepire le nostre braccia come se fossero dei lunghi ganci attaccati al bilanciere.

 

Figura C – effetto del corretto trazionamento sull’ingaggio del bacino

 

L’attivazione del dorsale tira letteralmente la nostra pancia verso il bilanciere, consentendo l’attivazione del core e favorendo l’anteroversione del rachide (fig C). Questi passaggi sono estremamente fondamentali poiché determinano in maniera diretta il grado di attivazione della gamba nello stacco da terra, rendendolo un esercizio di stabilizzazione e spinta, non solo mera tirata.

 

A questo punto entra in gioco la propriocezione e l’utilizzo dei piedi. In primo luogo, la funzione è di massimizzare il gioco di dorso che abbiamo fatto partendo dalle mani. Aggiungendo pressione a terra, andiamo a sviluppare ancora maggiormente la depressione scapolo-omerale sopracitata.

In secondo luogo, andiamo a creare sotto di noi una piattaforma solida con la quale spingere a terra attraverso i muscoli delle gambe. In questo momento risulta fondamentale riuscire ad applicare la pressione nel punto corretto dei piedi, che idealmente si trova sul centro di esso. Questo ci consentirà di mantenere una proiezione verticale delle spalle sul bilanciere favorendo un posizionamento ottimale nello spazio ed il fondamentale appoggio sul “punto x” (pancia ruotata e femorale allungato).

 

 

Amplificando maggiormente la forza applicata tra dorso e gambe, lavorando in sinergia e creando diretta tensione al bilanciere, noteremo che conseguentemente esso si piegherà verso l’alto.

In questo momento, è la coordinazione del gioco mano – piede che abbiamo analizzato che ci porterà nel punto più adatto per staccare il bilanciere, che definiamo incastro.

È il momento quasi magico in cui il bacino è avanti e aperto verso il bilanciere, la pressione esercitata sul bilanciere da un lato tira le braccia favorendo attivazione dorsale e la stabilizzazione, dal altro i piedi si schiacciano e le gambe si attivano per spingere a terra. In questo momento la balestra è carica e si passa al passo successivo, il LIFT OFF.

Alessio Erba

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STACCO TENSIONE CONTINUA – CREARE LA NEGATIVA NELLO STACCO DA TERRA

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Di Hideki De Patto

Coach presso Ironfit Monza,

Barbarians Powerlifitng Milano,

Tecnico AIF

Laureato in Scienze Motorie

 

Come già ben sappiamo lo stacco da terra non prevede una vera e propria fase eccentrica, l’unico precaricamento del femorale è dovuto al set up e/o al metodo di incastro che utilizziamo.

Anche per motivi agonistici, dato che in una gara di powerlifting non è presente, la negativa non viene eseguita.

Ma come possiamo sfruttare questo frangente di alzata sottovalutato a nostro favore?

 

Ecco che si presenta una variante del deadlift in tensione continua.

Questa variante prevede di creare una fase eccentrica che parte dopo il completamento di una prima ripetizione classica.

 

Perché è utile?

 

Le risposte sono principalmente due:

  • un motivo è di carattere tecnico
  • l’altro è più puramente muscolare.

L’utilità di questa variante è di creare un buon feeling sul piede per tutta l’esecuzione dell’alzata partendo però dalla chiusura. Da questo punto favorevole si potrà sentire in discesa il peso distribuito uniformemente su tutta la pianta del piede fino ad arrivare al suolo ricreando la linea migliore di spinta.

Diventa quindi una variante fondamentale per correggere un’alzata che non riesce a trovare un giusto punto di partenza con una base solida di appoggio e quindi a scaricare a terra tutta la gamba.

Inoltre, questa variante permette di avere ottimi feeling sull’allungamento della spalla verso il basso poiché il peso rimane sempre in mano senza mai essere completamente scaricato.

Presenta quindi una seconda correzione tecnica intrinseca ovvero il miglioramento del passaggio peso completamente al suolo-percezione del carico in mano, argomento già trattato nel precedente articolo sul trazionamento nello stacco da terra di Alessio Erba.

Muscolarmente parlando ha inoltre un riscontro positivo sulla catena cinetica posteriore poiché la fase eccentrica è gestita da glutei e femorali in primis, ma anche da dorsali e lombari. Lo sviluppo ipertrofico che ne deriva è dovuto al TUT, ovvero al tempo sotto tensione, che viene aumentato e alla contrazione eccentrica, due dei fattori che sappiamo essere fondamentali per l’aumento della massa muscolare.

Ecco l’esecuzione:

 

 

Come vediamo nel video, dopo una ripetizione classica, in fase di chiusura si prende una piccola pausa per prendere aria e poi si esegue una fase di discesa mantenendo sempre una tensione attiva, avendo focus sull’allungamento del femorale.

Arrivando al suolo la tensione rimane costante e si tocca il pavimento con il bilanciere che RIMANE IN TRAZIONE.

Una volta arrivati al suolo, la sensazione da ricercare è quella di un fermo in incastro, ovvero peso in mano, muscoli di spinta attivati e bilanciere in trazione. Da questa posizione si esegue un ulteriore ripetizione e così via.

Gli errori da non eseguire sono principalmente due:

  1. Arrivare a terra scarichi quindi sbattendo o droppando il bilanciere (un buon tip che vi consiglio è di appoggiare con più delicatezza possibile)
  2. Sbloccare inclinando per primo il busto

Per quanto riguarda la prima sottolinea la mancata tensione continua che appunto caratterizza questa variante: se infatti vado a perdere attivazione della loggia posteriore, il controllo sul bilanciere sarà inefficace e la discesa diverrà passiva.

Un errato sblocco dall’alto invece farà perdere il focus sul piede, che è lo scopo principale di quest’esercizio.

 

FIGURA A – Fase di chiusura

 

Dopo la chiusura della ripetizione (FIG.A), sbloccando le ginocchia per iniziare la discesa otterremo un angolo molto aperto tra busto e coscia (FIG.B) che ci consentirà di scendere con la giusta distribuzione del peso sul piede.

FIGURA B – Esecuzione corretta

 

Vediamo invece in FIGURA C, come sbloccare lasciando scorrere avanti la spalla e tenendo le gambe più diritte nel primo tratto ci porti a stare nel punto sbagliato di spinta. Questo inoltre va a creare un pessimo angolo, sfavorevole rispetto a quello che si crea con la giusta esecuzione. Non per ultimo, così facendo, si focalizza erroneamente il lavoro sulla zona lombare, quando invece dovrebbe essere incentrato su quella femorale.

 

FIGURA C – Esecuzione errata

 

Come inserire questa variante in una programmazione?

 

Essendo una dinamica nel complesso molto lontana dal gesto da gara, eccetto per la prima ripetizione, si addice soprattutto ad una iniziale fase estensiva in cui cerco una maggiore pulizia tecnica del gesto e un sostanzioso lavoro muscolare.

Non è pero insensato utilizzarla in un’intensificazione, sia come allenamento stimolante, salendo con le percentuali, sia come rigenerante con lo scopo di ristorarsi a carichi più bassi e con un focus maggiormente muscolare.

Da sottolineare che è un esercizio che necessita di alte ripetizioni per come è concepito (consiglio di non scendere sotto le 3 rep) per cui puntare su un must come il 5×5 non è un errore.

Una proposta molto semplice di sessione stimolante, pensato per essere uno dei tre stacchi settimanali, potrebbe essere:

FASE ESTENSIVASETTIMANA 15x5s  55%
SETTIMANA 25x5s  60%
SETTIMANA 35x5s  65%
SETTIMANA 45x5s  70%
FASE INTENSIVASETTIMANA 65x5s  60%
SETTIMANA 75x5s  65%
SETTIMANA 85x5s  70%
SETTIMANA 95x5s  75%
TAPERSETTIMANA 103x3s  65%
SETTIMANA 113x3s  70%
SETTIMANA 123x3s  75%
SETTIMANA 13TEST

 

Con questo schema ciclico molto minimal, si crea dell’ottima condizione muscolare e una buona base di volume.

Le percentuali relativamente più basse di quanto ci si aspetta in fase intensiva sono dovute alla complessità dell’esercizio.

Se il lavoro tecnico viene svolto a regola d’arte, già dopo quattro settimane questa variante sarà percepita come facilitante e a settimana 9 quello che sembrerebbe un allenamento tassante, considerando che questa non è la progressione principale, risulterà invece una sessione in cui l’ottimo feeling di spinta e di fluidità nella chiusura saranno prevalenti sulla fatica.

Per quanto riguarda la fase di taper, il blocco si ripete con un numero totale di ripetizioni più che dimezzato. Tenendo infatti il volume basso, per lasciare il focus sulla seduta cardine incentrata sull’intensità, questa sessione diviene prettamente rigenerante con il risultato di dare “aria” al soggetto tra uno stacco pesante e l’altro.

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SNIPER SQUAT PERIODIZATION

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Di Alessio Erba.
Coach presso Crossfit Lambrate
Barbarians Powerlifting Milano
Tecnico AIF

 

Oggi andiamo ad analizzare il programma di squat eseguito da Dennis Fastelli in preparazione per il campionato italiano classic 2020 svoltosi lo scorso Ottobre. Come potrete notare durante la lettura, ho deciso di presentare il programma nella sua interezza, ovvero condividendo tutto l’atipico percorso di 19 settimane che lo hanno accompagnato ad una performance di 267kg con una esigua bodyweight di 73kg.

 

Tempistiche di programmazione

 

Utilizzo il termine “atipico” poichè solitamente analizziamo periodicizzazioni con la canonica lunghezza di 12 settimane, ma in questo specifico caso abbiamo deciso di prendere più tempo e distribuire meglio nel corso dei mesi la programmazione, per riprendere fluidamente la condizione in seguito alla riapertura delle palestre. Inoltre il programma nella sua complessità risulta sviluppato con due logiche e caratteristiche ben distinte: una fase aciclica ed una ciclica, entrambe fondamentali e, come spiegherò più avanti, consequenziali.

Andiamo dunque a sviscerare la progressione e capire i motivi e le logiche dietro questo approccio che definirei IBRIDO.

(DISCLAIMER: per comprendere a fondo di cosa stiamo parlando, suggerisco la lettura degli articoli già presenti sul sito della Accademia dove spieghiamo le differenze fra programmazione aciclica e ciclica.)

 

 

FASE 1: ACCUMULO ACICLICO

 

Per un atleta di alto livello 3 mesi di stop dagli allenamenti sono davvero tanti. Rimettersi addosso carichi pesanti può essere controproducente e tal volta anche pericoloso vista l’assenza di condizione muscolare e neurale. Abbiamo dunque impostato una progressione che abbia queste caratteristiche:

 

  • partenza dal basso: quindi letteralmente da percentuali basse per i motivi sopracitati.
  • lineare: il carico sale linearmente nel corso delle settimane così come decresce il volume gradualmente.
  • intensità relativa mediamente bassa: lavorare nella zona di comfort in questo momento ci permette di accumulare volume in maniera qualitativa, alzando progressivamente la nostra condizione in maniera fisiologica e senza andare o ricercare un estremo overreaching. Ricostruiamo tolleranza alla fatica e al volume in maniera graduale, senza stressare eccessivamente il sistema muscolare e scheletrico.

 

SEDUTA STIMOLANTE

 

Per quanto riguarda la seduta STIMOLANTE, abbiamo un ramping sulla variante col fermo in buca che, di settimana in settimana, diventa sempre più pesante, poichè diminuisce il numero di colpi della serie target.

In questo caso ho specificato che la scalata verso il carico della giornata deve essere fatto come nella originale tecnica del MAV, facendo aumenti di peso di circa il 3% e mantenendo il numero di reps come da target. In questa maniera ricerchiamo uno stimolo neurale e accumuliamo altro lavoro qualitativo serie dopo serie.

Questa variante è stata scelta appositamente perchè se eseguita in maniera corretta FACILITA l’alzata stabilizzandola nel punto più critico e facendoci percepire il caricamento muscolare tra anca, gluteo e femorali. Impariamo dunque ad

appoggiarci sui muscoli senza scaricare il peso su altre strutture,

generando conseguentemente ipertrofia specifica oltre che amplificare al massimo la sensazione di compattezza che tanto ricerchiamo in buca.

 

SEDUTA RIGENERANTE

 

Per quanto riguarda la seduta rigenerante ho scelto:

  • da un lato lo squat highbar per enfatizzare il lavoro sulla gamba e scaricare parzialmente il carico dalla schiena (ricordatevi che abbinato a questo programma che andrete a leggere anche stacco e panca sono stati allenati con logiche simili)
  • da un altro ho optato squat piatto per sensibilizzare l’appoggio e lo scarico del peso a terra. Tante volte preferisco che questa specifica variante, in ottica rigenerante, venga eseguita SCALZA per amplificare il più possibile il transfer propriocettivo ed il focus sui piedi in appoggio. A cascata, questo porta ad una discesa più disinibita e permette un allungo naturale dei femorali mentre ci approcciamo alla buca.

 

Lo split settimanale è stato così suddiviso:

 

Lunedì: Squat stressante / Panca stimolante

Martedì: Stacco stressante / Panca rigenerante

Giovedì: Squat stimolante / Panca stressante

Venerdì: Panca rigenerante / Stacco stimolante ultra low volume e ritorno rigenerante

Sabato: Panca stimolante / Squat rigenerante

 

Come potete notare, c’è una separazione netta.

Nella prima parte della settimana ho concentrato le sedute stressanti mentre nella seconda parte quelle stimolanti. Questo perchè abbiamo notato nel corso del tempo che alcuni soggetti prediligono “settorializzare” lo stimolo al interno del microciclo stesso.

Fare del volume il lunedì di squat è come se condizionasse per la seduta del giorno successivo.

Contrariamente nella seconda parte della settimana lo squat ci accende e funge da innesco per lo stacco del venerdì.

In un microciclo di questo tipo, se il soggetto risponde molto bene, si tenderà ad avere una performance elevata e stabile in week ed un drop di forma presumibilmente di sabato. Per questo motivo lo squat rigenerante risulterà sempre molto leggero durante tutto il programma e non supererà mai il 70%. La sua funzione è quella di allenare nuovamente IL GESTO che però è stato ampiamente messo sotto stress sia muscolarmente che nervosamente. Tanto vale quindi cogliere l’occasione per lavorare su varianti distanti in maniera leggera per ridare freschezza al pattern motorio.

 

 

Ecco dunque il primo blocco aciclico di 6 settimane:

 

LUNEDI’

STRESSANTE

GIOVEDI’

STIMOLANTE

SABATO

RIGENERANTE

SETTIMANA 1 Squat 50% 5x12s recupero breve

 

Squat fermo in buca netto mav5 , poi 80% del mav 2x5s RAMPING STILE MAV ORIGINALE

 

Squat highbar fermo sopra 60%2x4s

 

SETTIMANA 2 Squat 55% 5x11s recupero breve

 

Squat fermo in buca netto mav4 , poi 80% del mav 2x5s RAMPING STILE MAV ORIGINALE

 

Squat highbar fermo sopra 65%2x4s

 

SETTIMANA 3 Squat 60% 5x10s  recupero breve

 

Squat fermo in buca netto mav3 , poi 80% del mav 2x4s RAMPING STILE MAV ORIGINALE

 

Squat hb fermo sopra 70% 2x4s

 

SETTIMANA 4 Squat 65% 5x9s recupero breve

 

Squat fermo in buca netto mav2 , poi 80% del mav 2x3s RAMPING STILE MAV ORIGINALE

 

Squat highbar fermo sopra 65%2x5s

 

SETTIMANA 5 Squat 70% 5x8s

 

Squat fermo in buca mav1 , poi 80% fermo 3s 2x4s

 

Squat piatto salita e discesa in 3s 65%2x5s

 

SETTIMANA 6 Squat 75% 5x7s

 

Squat fermo in buca 85%2x4s

 

Squat piatto salita e discesa in 3s 60% 4x4s

 

 

FASE 2 : INTENSIVA CICLICA

 

Con la prima fase abbiamo portato a casa condizionamento graduale al volume e nello stesso tempo ricondizionato il sistema nervoso a carichi di fascia alta grazie ai ramping delle ultime settimane, creando così il contesto ideale per aprire il gas e lasciare spazio a stimoli anche più aggressivi , senza però avere paura di sit-backs esagerati dettati da una condizione non adatta muscolarmente e neuralmente.

Essendo Dennis un atleta estremamente “elettrico” e dunque capace di scaricare moltissimi cavalli contro il bilanciere in poco tempo, l’enfasi in questa fase è stata quella di calibrare molto bene lo stimolo nervoso.

Come potrete notare, nella seduta a volume non andiamo ad esasperare lo stress mirando nelle settimane a dei grossi MILESTONE come potrebbe essere un 5×5 al 85%. Il volume in questo momento è da interpretare come se fosse la benzina per aumentare la condizione e funge conseguentemente da check per essa.

Un mezzo dunque, non di certo il fine, perchè il focus pende fortemente alla ricerca ed allo sviluppo di forza e capacità coordinative, dando stimoli elevati utilizzando AMRAP e singole pesanti.

In merito a ciò, prendiamo come esempio una delle sedute cardine del blocco, ispirate dal programma di Antonio Contenta per la gara di Sheffield di Carola Garra:

Squat fermo in discesa 65% 3x3s, 75% tempo normale 2, amrap, singola@8 vera salita e discesa lenta

Analizzando la struttura della seduta, è come se fosse una sorta di complex, il tutto mirato ad eseguire l’ultima singola nel modo più certosino possibile.

  • Il primo step è il fermo in discesa appena sopra il parallelo per amplificare la percezione di carico sul piede e quella che potremmo definire la coscienza nello spazio di sè stessi, poco prima di entrare in buca. Questo è un momento estremamente critico e che vogliamo venga eseguito nel migliore dei modi, andando a curare direttamente il timing ed il ritmo tra appoggio e spinta del bilanciere in entrata e uscita dalla buca.
  • Proseguiamo salendo con i kg e arriviamo ad una facile doppia al 75% che serve solo da check di carico prima di un AMRAP con buffer di due rep sempre con la stessa percentuale. Serie che possiamo spingere in là con le ripetizioni e che ci fa accendere subito il sistema nervoso.
  • Dopo questo primo shock , andiamo alla ricerca di una singola impegnativa con salita e discesa lenta (idealmente 3 secondi per segmento). Questo perchè:
    1. voglio uno stimolo molto specifico, quindi vado a lavorare con una singola pesante
    2. dilatando i tempi cerco la massima gestione del carico
    3. andando a lavorare su una variante complessa limito il carico che l’atleta potrà utilizzare, evitando potenzialmente rischi di overshooting e conseguente stimolo troppo elevato, che potrebbe poi portare ad una ricaduta di forma nelle sedute successive. Lavorando con i tempi dilatati si può comunque arrivare a carichi molto alti come ho già spiegato in un precedente articolo ( qui il link: https://www.accademiaitalianaforza.it/squat-isocinetico-ovvero-discesa-e-salita-lenta/ ), di fatti Dennis in queste sedute si è spinto tranquillamente tra il 90 e 93 percento del precedente massimale.

 

Vorrei infine farvi notare come alla settimana 9 e 13 le sedute stimolanti e rigeneranti siano state invertite. Questo è stato pensato per garantire un recupero più lungo e completo che si traduce in una performance di caratura più alta a fine settimana. Spero stiate storcendo il naso pensando al fatto che questa scelta possa gravare sulla condizione per la settimana successiva.

Bene, vi do piena ragione ed è di fatti proprio qui che andremo ad inserire una settimana di scarico.

 

 

Abbiamo dunque due blocchi ciclici da 4 settimane, o meglio 3 + 1 di scarico. Ogni settimana ha un graduale drop nel volume e, inversamente, un aumento nella intensità . Lo scarico invece è REALE sotto entrambi i parametri citati poco fa, per rigenerare sia muscolarmente che neuralmente un atleta, come già espresso, molto nervoso ed elettrico.

Ecco la progressione per questo blocco.

 

STRESSANTE STIMOLANTE RIGENERANTE
SETTIMANA 7 Squat 70% 8x5s

 

Squat fermo in discesa 65% 3x3s, 75% tempo normale 2, amrap, singola@7 vera salita e discesa lenta

 

Squat piatto salita e discesa in 3 s 65%3x4s

 

SETTIMANA 8 Squat 75% 5x5s

 

Squat 80% amrap@8, togli 5% e fai 3x4s fermo in buca

 

Squat piatto salita e discesa in 3s 70%2x4s

 

SETTIMANA 9 Squat 80% 3x7s

 

RIGENERANTE

Squat 70% 2x5s

 

STIMOLANTE

Squat fermo in discesa 65% 3x3s, 75% tempo normale 2, amrap, singola@8 vera salita e discesa lenta

 

SETTIMANA 10

SCARICO

Squat 75% 3x6s

 

Squat fermo discesa 70% 2x3s, salita e discesa in 3s 75% 2 80% 1 85%1x2s

 

Squat piatto salita e discesa in 3s 60%2x4s

 

SETTIMANA 11 Squat 75% 8x5s

 

Squat fermo in discesa 65% 3x3s, 75% tempo normale 2, amrap, singola@7 vera salita e discesa lenta

 

Squat pin 60%4×4

 

SETTIMANA 12 Squat  80% 5x5s

 

Squat 85% amrap@8, togli 10% e fai 3x4s fermo in buca

 

Squat discesa in 3s sui pin 65%3x4s

 

SETTIMANA 13 Squat 85% 3x6s

 

RIGENERANTE

Squat 70% 2x5s

 

STIMOLANTE

Squat fermo in discesa 65% 3x3s, 75% tempo normale 2, amrap, singola@8 vera salita e discesa lenta

SETTIMANA 14

SCARICO

Squat 77% 3x6s

 

Squat fermo discesa 70% 2x3s, salita e discesa in 3s 75% 2 80% 1 85%1x2s

 

Squat pin 65% 4×4

 

 

ULTIMA FASE: TAPER

 

Arrivati a questo punto dovremmo già avere più o meno in testa quali potrebbero essere gli obbiettivi reali di chi abbiamo davanti, al netto di tutte le singole e amrap eseguiti nelle scorse settimane.

Tralasciando l’ultimo colpo di grazia sulle ripetizioni della settimana 15, il volume (e poi l’intensità) nella prima seduta decresce gradualmente fino alla gara rimanendo sempre in soglia 75-80%.

Potete notare come il focus si sposti in maniera ancora più marcata sulla seconda seduta, dove prendiamo in spalla carichi molto elevati.

Abbiamo dunque una inversione nella sequenza settimanale tra seduta stimolante e seduta stressante. Per essere totalmente pignoli e contro ogni forma di scaramanzia, alla settimana 17 abbiamo lasciato la seduta più pesante del programma in fondo seguendo lo schema STIMOLANTE/RIGENERANTE/STRESSANTE come abbiamo fatto per le settimane 9 e 13. Anche qui, dopo l’allenamento cardine entriamo in scarico.

In questa specifica progressione finale non ho voluto lasciare nulla al caso: ho rimosso la componente di autoregolazione sulle singole ed ho imposto un kilaggio ben preciso di settimana in settimana per lasciare meno margine d’errore. Vediamo l’evoluzione più “da vicino” per questa seduta lungo il programma.

 

LUNEDI’

STIMOLANTE

GIOVEDI’

STRESSANTE

SABATO

RIGENERANTE

SETTIMANA 15 Squat 75% 8x4s

 

 

Squat fermo in discesa 70% 3×3,  mav 1 230kg, poi fermo in buca 3s 80% 2x3s,

Abbiamo sempre la “preattivazione” dettata dalla variante con fermo sopra in discesa ( seppur in maniera poco più intensa), al quale facciamo seguire il ramping a singole. Abbiamo dunque sostituito l’amrap con il ramping ed abbiamo aggiunto un pizzico di volume nel backoff utilizzando il fermo in buca per stabilizzare l’alzata dopo lo stimolo neurale.

 

Squat highbar salita e discesa in 3s 65% 3*5s

 

SETTIMANA 16 Squat 80% 4x6s

 

Squat 1 mav  target 240, poi fermo in buca NETTO  75%3x3s

Questa volta andiamo ancora più nello specifico poichè a questo punto dovremmo essere davvero a nostro agio ad esprimere cavalli nella singola ripetizione. Partiamo subito con il ramping fino a carico target che nel caso di dennis è stato circa un 92.5% del vecchio massimale. Segue un classico backoff come la settimana precedente, ma più leggero in termini di kg sulle spalle.

 

Squat highbar salita e discesa in 3s 65%2*5 1 min rest

 

SETTIMANA 17 Squat 80% 3x6s

 

RIGENERANTE

Squat 70% 2x4s

 

STRESSANTE

TEST ENTRATA A CROSSFIT LAMBRATE (250KG)

Qui abbiamo testato una potenziale entrata reale facendo due singole.

 

SETTIMANA 18 Squat 75% 3x6s

 

Squat 90%1x3s,80% 2x4s

 

Squat 70% 3X4s
SETTIMANA 19 Squat 80% 1 75% 2x5s

 

Squat 65% 2x4s

 

GARA

Fico eh?

 

 

ALTERNANZA DI STIMOLO SUL LUNGO PERIODO

Quando penso ad un agonista ho in mente le gare, momento in cui la condizione dovrà essere al picco, e cerco di far arrivare nel miglior stato di forma possibile l’atleta in questione IN QUESTE SPECIFICHE OCCASIONI.

Proprio per questo, una fase “shock” con IR mediamente elevata e con molte singole pesanti, specie su squat, deve tener conto del fatto che per essere portata a termine nel migliore dei modi necessita un buon condizionamento alla base, motivo per cui ritengo che il primo blocco aciclico con IR moderata sia stato fondamentale per gettare solide basi che sono servite a concretizzare e poi boostare la performance nella seconda parte del programma.

Mi piacerebbe che la vediate come una alternanza di stimolo ma su grossa scala, come se il primo segmento della periodicizzazione sia una gigantesca seduta stimolante e rigenerate, mentre la seconda parte sia la nostra uber seduta stressante. Le due cose vanno di pari passo e, proprio come facciamo nel microciclo,

prima ci creiamo i presupposti e l’occasione, poi la sfruttiamo al massimo e concretizziamo il risultato.

 

Ecco l’evoluzione dello squat di Dennis negli ultimi anni:

Ottobre 2019: 210 bw 75

Gennaio 2019: 230 bw 78

Giugno 2019: 250 bw 74.5

Gennaio 2020: 260 bw 77

Ottobre 2020: 267 bw 73

 

Grazie a tutti per la lettura e grazie a Dennis per essere un atleta così stimolante da allenare.

 

Per le foto si ringrazia la gentile collaborazione dell’amico e collaboratore Lorenzo Scarpellini

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IPERTROFIA – ECCO PERCHè GLI STUDI SUI PESI NELLA PRATICA NON BASTANO

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Di Nicola Marini

Docente Master Accademia Italiana Forza
Osteopata
Coach e responsabile della StrengthLab Padova

 

 

APPROCCIO SCIENTIFICO ALL’ALLENAMENTO

 

Allenarsi unicamente science-based può essere un buon punto di partenza, certamente rassicurante, superato, però, il brio derivante dall’agire per “ipse dixit” si presenta l’esigenza di confrontarsi con la pratica in palestra e, quando i progressi stallano, serve saper fare un passo in più.

 

Come mai limitarsi a praticare ciò che emerge dalla ricerca quasi sempre non è abbastanza per ottenere risultati?

 

Beh, bisogna intanto dire che quando si parla di ottenere risultati bisognerebbe definire cosa si intende: per alcune persone, risultato può voler dire perdere un paio di kg, avere 40cm di braccio, vedere mezzo addominale allo specchio, per quanto mi riguarda, invece, credo che la parola risultati possa configurarsi nel vedere un proprio atleta avvicinarsi ad un 3bw di squat, portare a casa una medaglia in una gara, o magari vedere un natural HP+35 con una bf entro il 15% fare 180/185kg di panca.

Premetto che non ho interesse nel prendere una posizione rispetto l’utilità o meno di avvalersi della ricerca per condurre e pianificare i propri allenamenti, nutro profonda antipatia per chi investe energie in operazioni poco costruttive tipo vendere delle opinioni personali al peso di verità insindacabili; vorrei invece confrontare con voi ciò che emerge da alcuni studi nel merito del topic “ipertrofia” e rapportarlo a ciò che posso osservare io quotidianamente con i ragazzi che alleno; a tal proposito, ci tengo a precisare che parlare di ipertrofia non è sinonimo di parlare di Bodybuilding, citerò infatti un adattamento con cui ho a che fare molto spesso essendo parte integrante del processo di crescita di un Powerlifter, e che anzi talvolta ha occasione di manifestarsi in modo addirittura più significativo in questo sport piuttosto che nel Bodybuilding probabilmente anche con la complicità di un regime alimentare meno restrittivo.

 

 

INTERPRETAZIONE DEGLI STUDI SCIENTIFICI

Ogni qual volta si cerchi di approfondire questo tema da un punto di vista più scientifico che empirico si incorre nel rischio di trasformare l’analisi della ricerca in una caccia alla risposta definitiva, salvo poi rendersi conto che la risposta definitiva che otteniamo finisce per sfumare rapidamente in mezzo ad una nebbia di variabili spesso non prese sufficientemente in considerazione, una su tutte negli studi inerenti le alzate di gara, il livello atletico dei soggetti presi in esame e la loro padronanza nei confronti del gesto atletico praticato.

In effetti non è tanto la ricerca scientifica a non riuscire a dare risposte precise e soddisfacenti alle nostre domande, quanto il fruitore medio della stessa, che tende ad estendere con estrema semplicità le conclusioni di un articolo, che solitamente sono circoscritte ad un contesto ristretto, a ciò che fa lui in palestra.

Il primissimo errore che solitamente si commette aprendo un articolo è quello di accontentarsi di leggere l’abstract (il riassunto dell’articolo),

facendo invece un piccolo sforzo in più e proseguendo nella lettura potremmo imbatterci in un punto molto utile che parla ad esempio dei limiti di quello specifico studio, non sempre sono presenti ma vale la pena verificarlo, servono a indicare i punti deboli di uno studio, in modo che il lettore possa farsi una tara sulla bontà dei risultati e sulle conclusioni; e quando presenti per altro testimoniano una grande trasparenza rispetto le intenzioni degli autori.

 

 

Tipo, quante ripetizioni devo fare?

 

Entriamo un po’ più nel vivo dell’argomento:

una delle domande cui più volte si è cercato risposta, riguarda proprio il numero di ripetizioni ideale per aumentare l’ipertrofia e anche qui riaffiora la smania della risposta definitiva, il numero magico che garantisca sempre dei risultati. Il mix tra credenze popolari, esperienza personale e interpretazioni un po’ “leggere” dei risultati della ricerca crea il cocktail ideale per trarre conclusioni affrettate che spesso si concretizzano in applicazioni distorte di deduzioni scientifiche, tipo il caso del fantomatico “range ipertrofico” delle 8 – 15 ripetizioni che, vorrei fosse chiaro, esiste.

Esiste sulla carta, esiste nel contesto controllato degli studi scientifici, ma posso quindi desumere di potermi allenare tutta la vita facendo 8/15 ripetizioni e sperare di continuare a migliorare?

Sarebbe bello, ma qualcuno di decisamente più intelligente di me una volta disse:

“Dubitare è il primo passo verso la conoscenza”; realisticamente è improbabile, anche se questa è per l’appunto una delle possibili digressioni.

 

 

Un’altra possibilità, più conforme al mio modo di procedere, è interrogarsi su questi dati e capire che forse non è solo una questione di numero di ripetizioni ma anche di qualcos’altro, magari di stress meccanico che riesco a produrre con il mio allenamento? Beh, a quel punto sarebbe chiaro che passare tutta la vita in range ipertrofico utilizzando ad esempio sempre gli stessi carichi avrebbe ben poco di ipertrofico.

Posso immaginare che certe idee siano in qualche modo figlie dell’arte della semplificazione, anche tollerata fino a quando riesce a conservare la pregnanza di significato del messaggio originale, cosa che però accade raramente. Mi perdonerete, quindi, se risulterò prolisso, ma trovo che le pillole di informazione e i concetti predigeriti, siano tanto veloci da assumere quanto da dimenticare.

 

TRE CASI CONCRETI

Ritornando ad insistere ancora per qualche riga sulla ricerca scientifica vi consiglio di visionare 3 studi interessanti sull’argomento, che vi super riassumerò nelle prossime righe ma nuovamente vi invito a prenderne visione in maniera autonoma e più esaustiva online.

  • 1) “Muscular adaptations in response to three different resistance-training regimens: specificity of repetition maximum training zones”

Studio non recentissimo (2002), il più vecchio in realtà tra quelli presi in esame in questo articolo, che però ci fornisce delle indicazioni mediamente utili per affrontare la discussione successiva. L’obbiettivo dello studio in esame è quello di analizzare 3 tipi diversi di range di ripetizioni, fondamentalmente : basso (3-5 reps), medio (9-11 reps), alto (20-28 reps). Con l’obbiettivo di misurare gli adattamenti aerobici, ipertrofici e di forza che emergono da ognuno di questi range. Quello che ne esce è che i migliori adattamenti di forza li ha ottenuti il gruppo che si è allenato a ripetizioni basse, i migliori adattamenti aerobici/metabolici li ha ottenuti il gruppo che si è allenato tra le 20 e le 28 reps, ed infine i migliori adattamenti in termini di ipertrofia sono stati ottenuti dal gruppo che ha lavorato a basse e medie ripetizioni. I limiti dello studio in questo caso riguarda il campione, relativamente poco esteso visto che parliamo di 32 uomini, ma soprattutto il fatto che i soggetti presi in esame sono totalmente deallenati con tutte le conseguenze relative alla disponibilità a sviluppare adattamenti sulla base di una forbice di stimoli molto ampia.

 

  • 2) “Muscle activation during three sets to failure at 80 vs. 30 % 1RM resistance exercise”

Questo è uno studio già un po’ più recente (2015), l’obbiettivo in questo caso è quello di studiare ampiezza e frequenza elettromiografica e attivazione muscolare (iEMG) durante lo sforzo fisico, e sezione trasversa del muscolo (prima e dopo), 3 serie a cedimento utilizzando l’80% del carico massimale e utilizzando il 30% del carico massimale. Per lo studio sono stati selezionati 9 uomini tra i 21 e i 23 anni e 9 donne tra i 23 e i 25 anni. Dalle conclusioni emerge che a elettromiografia l’attivazione muscolare sia superiore nell’allenamento con l’80% rispetto a quello con il 30% del proprio 1RM, però la sezione trasversale è aumentata maggiormente nel post allenamento nel gruppo che si è allenato col 30%, secondo i ricercatori ciò è da attribuirsi ad un accumulo di metaboliti e sostanze di scarto, quindi verosimilmente ad un effetto temporaneo.

 

  • 3) “Total number of sets as a training volume quantification method for muscle hypertrophy: a systematic review”

L’ultimo studio preso in esame è una revisione sistematica del 2018, per chi non fosse informato riguardo questa terminologia, la revisione è solitamente il tentativo di fare un sunto di quanto emerso da tutti gli studi inerenti un determinato argomento, per questo motivo una revisione se ben fatta può avere un valore molto alto nel restituire un’idea chiara e precisa della direzione più conveniente in cui muoversi.

L’intento di questa revisione però si discosta leggermente dal dirci semplicemente quante ripetizioni fare per aumentare la circonferenza del braccio, è direi leggermente più ambizioso e più intellettuale, si pone infatti il problema di descrivere accuratamente il significato della parola “volume”, nel tentativo di comprendere se il volume allenante possa essere descritto come il numero di set e ripetizioni totali in un allenamento ovviamente nell’ambito dell’ipertrofia. Sono stati presi in esame ben 2585 studi, da cui è emerso che effettivamente il volume può essere quantificato utilmente in quel modo fin tanto che le ripetizioni stanno in una media tra le 6 e le 20.

Bene, di qui in poi tornerò a parlare del mio punto di vista e non mi metterò a sindacare su eventuali incongruenze o concordanze con gli studi citati, lascerò a voi il compito di farvi un’idea a riguardo. E’ comunque interessante notare come sempre più in epoca recente la ricerca si sia spostata dal cercare risposte all’interno di una variabile “le ripetizioni” al cercarle nell’ambito più ampio ad esempio di uno stressor, il volume. Dal mio punto di vista questo è intellettualmente un notevole passo in avanti che strizza già di più l’occhio all’idea che il risultato, l’adattamento, si trovi macroscopicamente più in un processo che si sviluppa nel tempo che non in un evento fenomenico.

 

 

CORRELAZIONI PRATICHE TRA RIPETIZIONI ED IPERTROFIA

Già il titolo di questo paragrafo dovrebbe a questo punto iniziare a odorarvi di stantio, e se così non fosse datevi ancora qualche minuto di tempo.

Il punto è: vale davvero la pena chiedersi se fare un alto numero di ripetizioni sia meglio del farne poche per diventare grossi e forti?

Secondo me no, proprio perchè il numero di ripetizioni è una variabile importante in mezzo ad altre decine di fattori, ed acquisisce un peso determinante solo quando inserita in un contesto, solo se viene rapportata ai carichi utilizzati, al numero di serie effettuate, al periodo dell’anno in cui l’atleta si trova, all’età dell’atleta e all’anzianità di allenamento, al suo passato sportivo, alla sua composizione corporea e quindi al sesso, alla sua forza di base ecc..

Uno degli studi presi in esame precedentemente ad esempio ha dimostrato come un elevato numero di ripetizioni fosse in grado di indurre un aumento della sezione trasversa del muscolo nel breve termine, ma da subito si è evinto come questo dato fosse dovuto ad un banale effetto “pump”, siamo quindi davvero convinti che per ottenere una risposta ipertrofica sia preferibile se non indispensabile, fare un alto numero di ripetizioni? Da allenatore abituato a valutare le proprie scelte in modo più empirico che accademico posso dirvi che la risposta dal mio punto di vista è quasi scontata: NO.

Quello che verifico quotidianamente in palestra è che ad ogni aumento dei massimali dei ragazzi che alleno segue una marcata risposta ipertrofica e questo muovendosi per tutto l’anno in un range di lavoro tra un massimo di 8/10 e un minimo di 1 ripetizione.

Volendo ragionare di numeri la questione è perfino più evidente, se teniamo per buono l’ultimo studio preso in esame che parla di volume allenante e anzi vi aggiungiamo un parametro in più ovvero il carico, emergerà un dato in grado di quantificare il numero di kg sollevati in un singolo allenamento ovvero il tonnellaggio (serie x reps x kg) riuscendo a descrivere in modo più accurato l’entità dello stress meccanico apportato da una seduta allenante.

Ed è proprio grazie a questo numero che possiamo intuire come fare 4 serie da 10 ripetizioni (4×10) non equivalga a fare 10 serie da 4 ripetizioni (10×4), a fine di entrambi gli allenamenti avremo effettuato 40 ripetizioni totali, ma nel primo schema a parità di buffer e caratteristiche tecniche (alzate valide) potrò utilizzare molti meno kg che nel secondo schema e ciò renderà almeno sulla carta il 4×10 uno stimolo più blando del 10×4 a parità di buffer.

 

 

E’ POSSIBILE FARE UN PASSO IN PIU’?

 

Lo abbiamo già iniziato a suggerire nella prima parte dell’articolo: quello che davvero conta è lo sviluppo di un processo di crescita, muscolare, coordinativa, tecnica ecc.. E come ben sappiamo questo processo non è mai lineare,

la capacità di strutturare un programma di allenamento non si riassume nel tentare di alzare l’asticella della prestazione o della quantità di stress meccanico nel modo più fantasioso possibile ad ogni allenamento,

questo è lo stesso genere di bias che induce una persona sovrappeso (poco informata) a credere che per dimagrire serva semplicemente diminuire il più possibile le calorie, ed in parte è evidente che potrà servire mangiare di meno, ma se voglio perdere ad esempio 30 kg è inesatto e pericoloso pensare di farlo diminuendo in modo lineare la quantità di cibo ingerito giorno dopo giorno/settimana dopo settimana perchè così facendo incorrerò in un aumentato rischio di effetti indesiderati quali, stalli nel processo di dimagrimento a causa di una soppressione del metabolismo, aumentato rischio di sviluppare disturbi alimentari, carenze nutrizionali, perdita ingente di massa magra, energie insufficienti per la giornata e così via.

Questo parallelismo con la nutrizione serve a farvi capire che è abbastanza fine a sé stesso chiedersi quale sia il numero di ripetizioni ideale per diventare più grossi o più forti, perchè implicitamente ponendoci questa domanda stiamo dando per scontato che sia proprio quello il fattore determinante in grado di farci progredire, quando in realtà non è così. Nell’ottica di un powerlifter non è interessante essere capaci di fare oggi 10 ripetizioni al 70% di squat e domani 12, soprattutto se non sappiamo se quelle 2 ripetizioni in più siano state eseguite con un tipo di tecnica utile a permettermi di chiudere un carico massimale, che differisce moltissimo dal tipo di tecnica ideale a fare il più alto numero di ripetizioni possibile con carico medio-basso, soprattutto se non sappiamo se quelle 2 ripetizioni in più siano inoltre valide in gara oppure no.

La cosa utile è invece da allenatori imparare a rispettare i tempi di adattamento di un qualsiasi soggetto sapendo programmare le sedute in cui cercare di alzare l’asticella, gli allenamenti più pesanti, in modo tale che il nostro atleta arrivi sotto il bilanciere con tutti i presupposti allenanti necessari a permettergli di superarsi portando a casa se richiesto dei personal record. Al contrario in altre giornate dobbiamo prevedere la possibilità di fare un passo indietro in termini di overload, approfittandone magari per lavorare su altre variabili relative ad esempio al controllo motorio, al rinforzo di porzioni dell’alzata in cui manca capacità di attivazione, al recupero ecc.. per permettere poi a chi alleniamo di fare due passi in avanti nei giorni seguenti.

 

 

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Preparazione Atletica: quando avere troppi muscoli diventa un problema

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di Stefano Tintori.
Elite Strength Trainer AIF
Diplomato Corso Alta Formazione 2018
Coach Bergamo Powerlifting.

 

Per chi come noi viene dal mondo del Powerlifting o del Body Building l’incremento della massa muscolare è da sempre un aspetto fondamentale, ricercato e decisamente apprezzato per motivi diversi da entrambe le discipline. In linea di massima nessuno si è mai lamentato di mettere muscoli, anzi qualcuno si venderebbe pure la madre in cambio di un po’ di ipertrofia.

“È sempre bello vedere una persona grossa”

sentii dire 10 anni fa da un mio collega Bodybuilder, ormai in pensione, durante una riunione tecnica nella prima palestra in cui ho lavorato. Una frase ai limiti della sanità mentale, ma che per chi vive i pesi con passione ed estremo piacere può in qualche modo riassumerne l’essenza.

Nella preparazione atletica, invece, l’equazione diventa più complessa, a nessuno frega niente di vedere persone grosse e talvolta si presentano pure situazioni in cui avere troppi muscoli può risultare controproducente.

Vediamo nel dettaglio gli scenari possibili:

 

SPORT DI RESISTENZA

Discipline come per esempio il ciclismo, il triathlon o in generale le corse sulla lunga distanza vengono caratterizzate da uno sforzo prevalentemente aerobico perciò sia in off season che in season vi sarà una chiara esigenza di tenere leggero l’atleta. Avere tanti muscoli in questo caso non aiuterà nella prestazione ma risulterà semplicemente da zavorra.

 

 

SPORT DI FORZA

 

 

Discipline come per esempio il lancio del peso, del martello, o, in generale, tutto ciò che preveda espressione di forza in tutte le sue forme, vengono caratterizzate da uno sforzo prettamente anaerobico. Avere un bel telaio in questo caso invece è fondamentale. Non è un caso che spesso atleti olimpionici delle discipline sopracitate abbiano delle strutture muscolari imponenti e siano in grado di esprimere alti gradienti di forza in alzate olimpiche o di PL.

 

 

SPORT IBRIDI

 

 

Discipline miste, come tutti gli sport singoli o di squadra che prevedono un connubio tra condizionamento aerobico e anaerobico.

Un giocatore di calcio, per esempio, dovrà essere in grado di correre per 90 minuti (resistenza), ma allo stesso tempo reggere agli impatti del difensore e calciare la palla in rete da fuori area (esplosività). Si presuppone, quindi, che qualche muscolo gli faccia decisamente comodo e una solida base di forza è sicuramente il punto di partenza.

Ideale da costruirsi in off season per poi essere mantenuta durante la stagione.

Una componente a mio parere irrinunciabile e importante tanto quanto la componente aerobica.

Nella pratica, però, troppo spesso si tende a ridurre al minimo il guadagno muscolare di un atleta di sport ibrido per paura di fargli mettere peso e renderlo più lento.

Chi aveva provato l’allenamento coi pesi si era anche accorto che gli atleti si erano in qualche modo irrobustiti, diventando tuttavia più lenti; qualcuno, poi, si era acciaccato ed in generale erano calate le prestazioni in campo, giungendo così alla conclusione che la strada era sbagliata, che il bilanciere è meglio limitarlo e l’allenamento della forza con conseguente guadagno muscolare vada utilizzato con il contagocce.

Niente di più sbagliato. Lo strength training eseguito come si deve può solo giovare a qualsiasi atleta.

Diventa una zavorra nel momento in cui assume una pratica più simile al Body Building vecchia scuola che allo Strength Training Moderno, quello caratterizzato da controllo motorio, buffer ed alternanza dei carichi, quello che genera ipertrofia miofibrillare utile alla prestazione piuttosto che ipertrofia sarcoplasmatica ideale magari per chi deve salire su un palco a posare.

Perché il COME faccio pesi fa la differenza, non il QUANTO ne faccio.
Chi non lo capisce semplicemente non ha ancora compreso fino in fondo le vere potenzialità dell’allenamento con i sovraccarichi.

Ricapitolando i muscoli costruiti come si deve servono a tutti, persino ad atleti di resistenza pura consiglierei l’allenamento coi sovraccarichi in moderata quantità: i benefici a livello coordinativo e posturale possono solo che aiutarli, sia nella performance che nel recupero/prevenzione di infortuni.

 

 

UN ESEMPIO REALE

 

Ho potuto constatarlo personalmente qualche anno fa quando una atleta di Triathlon si era affidata a me per 6 mesi di preparazione ad una gara ed era rimasta sorpresa della quantità di bilanciere che le feci utilizzare: 3 sedute settimanali su 7 allenamenti totali.

Non aveva avuto significativi aumenti di peso corporeo (anche perché sfido chiunque a metter peso allenandosi per una gara del genere), ma quando usciva a correre, a nuotare e pedalare ricordo che ripetutamente si meravigliava di quanto “spingesse muscolarmente” e si sentisse “più padrona nei movimenti”.

Dei feedback molto approssimativi da parte sua ma estremamente positivi culminati con la sua miglior prestazione di sempre (aveva una decina di gare alle spalle). Ovviamente l’allenamento aerobico delle 3 discipline aveva avuto un ruolo predominante ma la parte di condizionamento coi pesi, ciclizzata a dovere, era stata la vera novità nella sua preparazione.

 

 

La parte più interessante da sottolineare è il fatto che per la prima volta non avesse avuto infiammazioni articolari durante la preparazione, cosa che invece le succedeva puntualmente da diverse gare.

La vera riflessione non è quindi “quanti muscoli servono”. Ma piuttosto “come li ho costruiti e quanto sono bravo a reclutarli ed utilizzarli”. Perché sarà anche bello vedere una persona grossa ma è ancora più bello vedere una persona grossa che vince.

 

 

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SQUAT CON FERMO SOPRA IL PARALLELO – COSTRUIRE L’ENTRATA IN BUCA

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Di Valentino Durastanti
Atleta Barbarian’s Powerlifting Parma/Sorrento
Campione italiano assoluto 2018 classic e gear cat. -105kg
Detentore del record gear di squat (365kg) e di stacco classic (338kg)

 

Per costruire uno Squat solido in buca, bisogna avere la percezione di scaricare tutto il peso sulla pianta del piede, a questo segue l’importanza della discesa che diventa un punto fondamentale se non il più importante di tutta l’alzata. Come imparare ad avere una discesa ottimale senza cambiare punto di appoggio scaricando la giusta tensione dal bacino? Un utile aiuto può essere lavorare con il fermo in discesa, analizziamolo insieme in 3 punti (come, quando e perché).

 

Perchè? Partiamo dalla fine

 

Perché effettuare il fermo in discesa?

Effettuare il fermo in discesa, nel tempo, aiuta a farci capire come mantenere una giusta linea e solidità in discesa, come si vede spesso fare ai pesisti cinesi, che con qualsiasi percentuale (%) di carico hanno la proiezione del bilanciere che rimane uguale in tutto l’arco del movimento.

Questa variante se fatta bene può dare input ben precisi come:

  • tenere l’anca ben carica (catena posteriore in allungamento)
  • tenere la pancia solida (core attivo)
  • aiuta a ridurre la frenata di gamba in discesa con carichi elevati
  • buca solida e stabile
  • schiena naturale per tutta l’alzata.

Aiuta soprattutto ad aumentare la percezione spaziale di dove siamo appoggiati, ovvero quali sono i nostri punti di ingaggio col terreno e col bilanciere, in modo che, da lì in poi, ci si possa concentrare sul mantenere quegli stessi punti di appoggio fino all’arrivo in buca, e poi ci dà il tempo materiale di fermarci per poi ricercare, nell’ultimo tratto di discesa, la percezione di caricare l’anca e tenere la pancia attiva.

In pratica ci aiuta a fare la cosa giusta e a percepire buone sensazioni in modo tale da scaricare tutto sulla gamba e non sulla schiena.

Un giusto mix che aiuta a trasformare il vostro Squat low bar in qualcosa di concettualmente simile allo Squat effettuato dai pesisti.

In quale caso utilizzarlo?

 

Negli anni può capitare di trovarci in una situazione dove il nostro back Squat non sia più solido o che non ci si sente più in spinta, a causa di un cattivo errore in buca, dove perdiamo compattezza e traiettoria, questo problema (che poi è estremamente frequente) può portare ad un inizio di una lunga catena di errori, che col tempo possono diventare causa di una perdita di kili sul bilanciere. A questo segue subito una correzione ed è proprio qui che possiamo inserire la nostra variante con il fermo.

Vediamo alcuni errori di uno Squat poco solido in discesa:

  • troppa attivazione eccentrica delle gambe durante la discesa, di conseguenza una discesa frenata
  • perdita del controllo della bassa schiena (retroversione del bacino)
  • perdita dell’appoggio corretto in buca (punto x non carico, conseguenza del punto precedente)
  • slittamento delle ginocchia in avanti in buca (spostamento sulle punte)
  • buca instabile (conseguenza di tutto il resto)

A questi errori segue, infine, una spinta poco efficace contro il bilanciere.

In allegato, un video con un carico basso per farvi vedere i problemi di discesa che si possono avere con un carico alto causati da una discesa non efficace:

Mentre qui vi allego sempre lo stesso video con lo stesso peso , ma con una discesa ottimale dopo un lungo lavoro nel curare i piccoli dettagli:

 

Ovviamente i carichi sono bassi ma questa è l’idea di Squat ottimale che voglio condividere con voi.

Intuiti i problemi aggiungiamo nella programmazione questo fermo così, nel tempo potremmo vedere dei miglioramenti. In video 230kg x 6rep dopo un paio di settimane di lavoro tecnico:

 

La domanda che segue è:

In quale periodo della programmazione inserirlo?

 

Non vi è un periodo giusto o meno, ma il più consigliato per utilizzare questa variante, secondo la mia esperienza, è sicuramente POST gara, dove la forma fisica non è al top e ci si sente spesso fuori spinta. Anche per una questione di “ordine” delle fasi dell’alzata, andiamo prima a ricostruire la discesa.

Anche in un periodo di accumulo può essere utilizzato con percentuali di lavoro fino all’80% dove ci permette di consolidare la nostra forma fisica e di mettere un punto chiaro sul continuo della programmazione.

 

Esempio di programmazione:

Settimana 1: 70% 3x8s

Settimana 2: 75% 3*6s

Settimana 3: 75% 4*5s

Settimana 4: 80% 2*6s

 

Come effettuarlo?

Può sembrare facile fermarsi in punto qualsiasi, ma non lo è, vediamo insieme come effettuare il fermo:

Una volta che ci siamo stabilizzati, sblocchiamo le ginocchia e pensiamo di fermarci, ad occhio, circa 5cm al di sopra del parallelo. Senza saltare alcun passaggio, una volta finito il fermo, dobbiamo cercare dì mantenere la stessa solidità che abbiamo avuto nel fermo, mi raccomando, fate un fermo ben deciso e stabile! Poi, arrivati in buca, con calma usciamo spingendo tutto contro il bilancIere.

Occhio a due particolari:

  • Non sbilanciatevi durante il fermo, è molto comune appoggiare la pancia troppo presto per scaricare tensione dalle gambe durante il fermo, andando troppo indietro col bacino troppo presto, rimanete sulla gamba e sul piede!
  •  Non frenate la discesa dall’inizio, arrivate fluidi al fermo e fermatevi lì in modo netto.

Come potrete vedere, sarà faticoso, ma col tempo con il giusto lavoro anche questo diventerà automatico.

Provare per credere!!!

Perdonatemi la location un po’ sotto sopra, ma allenarsi di questo periodo è difficilissimo. Ringrazio pubblicamente la Crossfit Syrentum per averci prestato l’attrezzatura.

Un ringraziamento a tutto il team Aif per avermi dato la possibilità di condividere con voi queste idee.

BUON ALLENAMENTO

L'articolo SQUAT CON FERMO SOPRA IL PARALLELO – COSTRUIRE L’ENTRATA IN BUCA sembra essere il primo su AIF - Accademia Italiana della Forza.

SEDUTA STIMOLANTE – COSA SI INTENDE ESATTAMENTE?

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Di Antonio Contenta.
Vice Presidente Accademia Italiana Forza.
Allenatore SS Lazio Powerlifting.
Fondatore Barbell Academy Roma.

 

Nella maggior parte dei nostri articoli riguardanti la programmazione o articoli proprio tematici su un programma in particolare, ci sono alcuni termini, che poi in realtà sono concetti, che tipicamente affrontiamo al Corso Istruttori, e approfondiamo nei livelli successivi, proprio i corsi che adesso tanto ci stanno mancando.

Mi capita di ricevere domande, alcune spesso anche molto argute e intelligenti, circa gli articoli e i programmi (ormai tanti) disponibili sul sito e la percezione che ho alcune volte è che, principalmente su una seduta in particolare, ci sia un po’ di confusione in più:

 

La seduta stimolante.

 

Ho pensato potesse essere utile quindi un articolo pocket riguardo questo argomento.

Questa sessione possiamo considerarla, a livello gerarchico, come la “seconda più importante della settimana”. Molto spesso questo allenamento tende a “invertire” lo stressor rispetto alla seduta stressante, possiamo immaginare come se in questa seduta andiamo a completare lo stimolo (della seduta stressante) puntando sullo parametri su cui NON abbiamo premuto nella seduta stressante.

Il termine “stimolante” è molto azzeccato perché questa seduta serve appunto da reale supporto a quella in cui lavoriamo sulla progressione e deve di settimana in settimana andare a preparare o completare la stessa.

 

 

DUE ESEMPI:

 

Ragioniamo per semplicità pensando allo squat, la locomotiva della condizione fisica, e facciamo un esempio evidente rispetto a questo concetto:

  • Lunedì: Squat 70% 7x7s **seduta ad alto volume e impatto metabolico ma a carico moderato (la settimana prima ho fatto 65% 8x7s, quella successiva farò 75% 6x7s, per esempio)
  • Giovedì: Squat 80% 2x5s **seduta a basso volume che va a “scaricare” lo stressor della seduta 1, ma mi tiene a contatto con una % più sostenuta.
  • Venerdì: BoxSquat 3MAV **seduta rigenerante, che in questo caso va comunque a inserire un tassello mancante nelle prime due, dove ho lavorato a carico fisso, qui invece vado a svolgere un piramidale in cui non ripeto mai lo stesso carico per più di una serie.

Nella prima seduta ho ben 49 alzate, nella seconda solo 10, la differenza tra le due sedute è evidente.

 

Bene, ci sembra di aver capito meglio. Ora, ribaltando la situazione, sfruttiamo un altro esempio più classico, che invece vede il carico più sostenuto (e anche il volume più sostenuto) nella seduta stressante:

  • Lunedì: Squat 75% 4,9,6, 85% IST, 3/3” 85% 1x2s
  • Giovedì: Squat sui Pin 3mav + 90% 3x3s
  • Venerdì: Squat 70/75% 3x4s

 

In questo caso la seduta stressante è evidentemente la prima, nella stimolante, invece, avendo sviluppato così tanto lavoro sul gesto “gara” nella prima sessione, scelgo una variante che, per quanto alto potrebbe essere il “mav”, andrà comunque a pesare meno della prima sul sistema.

 

E’ il 4,9,6 Squat Program… se non lo conosci, non lo dire a nessuno e vallo a leggere.

Il 496 squat program!

 

 

 

PROGRESSIONE E ANDAMENTO NEL TEMPO

 

Per chiudere, altrimenti poi non siamo più tanto “pocket”, la distinzione tra “stressante” e “stimolante” è ancora più chiara osservando un programma più da lontano, perché mentre la prima, come ormai assodato, deve prevedere un evidente andamento crescente (più o meno lineare) tra una settimana e l’altra, la seconda in realtà “può” averlo ma non è determinante per la buona riuscita di un programma, anzi in alcuni casi il contrario.

Infatti su atleti di alta fascia spesso questa seduta ha un andamento variabile proprio per rispettare e coadiuvare l’andamento crescente della seduta stressante.

Bisogna anche considerare, poi, che possono esserci anche più sedute stimolanti in un microciclo sulla stessa alzata, questo sia perché la frequenza di allenamento potrebbe fornirci diversi “slot” da riempire intorno alla seduta “core” del programma, sia perché alcune alzate (e atleti) possono o devono essere allenate o allenarsi più spesso.

La programmazione va osservata da varie distanze per essere sicuri di aver visto tutto.

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Cos’è il Powerlifting se non il giusto connubio di diverse Visioni?

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A cura di Simone Sanasi.
Tecnico AIF.
Medaglia di Bronzo Campionati Europei Powerlifting 2016.

DUE ESEMPI STORICI E DUE CONCEZIONI DEL MONDO DELLA FORZA

 

La scuola americana nello sviluppo delle metodiche di strenght conditioning è stata sicuramente influenzata da tutto ciò che ruota intorno alla visione del “super uomo”, più muscoli, più “alfa”.

Viceversa, la scuola russa segue molto il filone che calca le onde di uno dei suoi sport nazionali, ovvero la pesistica, dove l’uomo non si misura tanto dai muscoli quanto dalla sua impassibilità nel compiere grandi gesta.

Due mondi apparentemente opposti. Apparentemente. In realtà li trovo molto simili.

 

Presupposti diversi ma fine identico.

 

Sta a noi prendere, adattare, sbagliare, capire e migliorare.

 

Se dovessi dare una definizione generica dei due mondi direi: Forza generale per il modello americano / Efficienza per quello russo.

Due doti vitali per un buon powerlifter.

 

 

Come possono interagire tra di loro all’interno di un unico percorso di allenamento?

 

Individuando i diversi mesocicli e diversificandoli, durata e diversificazione dipendono dalle esigenze/necessità dell’atleta. Quando il tempo me lo permette, riservo alla fase preparatoria 2 blocchi di 4 settimane ciascuno e alla fase specifica altri 2 della medesima durata. 

La prima fase la identifico come lavoro aspecifico, prendendo molti spunti dal modello americano. Questa fase durerà, perciò 8 settimane.

Nei 2 blocchi successivi calco i passi dell’efficienza ritrovandomi però un atleta più forte ed in salute in angoli/piani diversi di lavoro, cosa assolutamente fondamentale per garantire una base solida di miglioramento soprattutto sul lungo termine.

 

ESEMPIO PRATICO

 

 

Un esempio di lavoro aspecifico, quindi di matrice prevalentemente americana, riguardante lo squat (con una frequenza di 3 volte a settimana) potrebbe essere questo:

 

Seduta A (lontano dal gesto gara) – volume a scalare autoregolazione:

  • safety bar;
  • cambered bar;
  • spider bar;
  • squat on the box;
  • squat h/b scalzo stance stretto.

Quindi un orientamento prevalentemente basato su gesti derivati dall’impronta americana West-Side.

 

Seduta B (vicino al gesto gara) – volume a salire range di carico:

  • Squat (bilanciere
    altezza gara);
  • Pin;
  • Box;
  • Fermi.

In pratica, variazioni del tempo di esecuzione su un assetto da gara.

 

Seduta C (lontano dal gesto gara) – ramping + back off serie×reps×%fissa:

  • Front squat;
  • Pin good morning;
  • Variante non adottata nella seduta A.

*accessori: elastici e/o catene;
**accessori: no belt prime 4 settimane, opzionale dalle successive.

L’ottava settimana sarete più forti e pronti ad entrare nell’ultima fase dell’alta specializzazione ovvero l’efficienza.

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BIG HORN FOR BIG BENCH – bench specialist program

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Di Hideki De Patto

Coach presso Ironfit Monza,

Barbarians Powerlifitng Milano,

Tecnico AIF

Laureato in Scienze Motorie

 

 

Oggi vi presenterò un programma per gli specialisti della Panca piana che è sostanzialmente un’applicazione del metodo Big Horn https://www.facebook.com/136196223160056/videos/667408850612821 .

Ovviamente il programma seppur nato per determinati soggetti può essere utilizzato su chiunque quindi sperimentatelo!

 

Per chi nasce questo programma?

 

Per dei panchisti che avevano nello specifico punti di forza e difetti identici tra loro. Mi spiego meglio: si parla di soggetti (maschili e femminili) che hanno molta mobilità toracica e leve favorevoli, quindi omero piuttosto corto e di conseguenza range of motion ridotto. Tutti i soggetti hanno come tratto comune la poca strada da percorrere col bilanciere e di conseguenza massimali sopra la media delle rispettive categorie di peso.

Nelle tre foto potete apprezzare appunto il loro accentuato arco toracico, dettaglio che si rivela importante nell’esecuzione dalla loro alzata e da cui scaturisce il loro difetto.

 

Foto – Gianluca De Carlo, 2° posto Coppa Italia Distensione su panca FIPE 2018

 

 

Foto – Maddalena Porta, detentrice di diversi podi FIPE

 

 

Foto – Annamaria Chincoli alle prese con 82,5 kg, categoria -57 kg

 

 

Qual è la problematica di fondo da risolvere?

 

Il ROM molto favorevole ha portato i soggetti ad eseguire un movimento “comodo” senza quindi cercare troppa fatica nell’arrivare al petto, proprio perché la strada da coprire era ben poca. Questo li ha portati molto in fretta a carichi importanti facendoli però poi stallare definitivamente. È facile intuire come, dovendo eseguire un percorso breve, l’errore si riscontri in un’eccentrica “vuota” e priva di caricamento. Infatti, la difficoltà per tutti si presentava poi nella fase concentrica, in risalita dal petto, poiché i muscoli di spinta non risultano attivi.

Ricordiamo che una panca efficiente prevede una discesa con un caricamento in cui il gran dorsale viene ingaggiato per far sì che i muscoli di spinta, a cui fa capo il pettorale, siano allungati fino alla fase di fermo al petto e da lì di conseguenza si contraggano per trasmettere un’accelerazione al bilanciere.

 

Come risolvere il problema?

 

La risposta è molto semplice: con una della più basilari varianti che si possano utilizzare, ovvero le isocinetiche. Rallentare infatti discesa e salita fa percepire al soggetto l’utilizzo del dorsale nell’accezione più muscolare possibile sia in eccentrica che al fermo. Inoltre, in uscita dal petto, se l’ingaggio dorsale è stato ben eseguito, ci sarà la possibilità di gestire la velocità di risalita accelerando gradualmente il bilanciere.

 

 

Perché la scelta del Big Horn?

 

L’esigenza era tenere la forbice delle percentuali, nella giornata più stressante sotto questo specifico punto di vista, il più stretta possibile e vicino a quei chili che mandavano in crash l’alzata. In questo caso tutti i soggetti tendevano ad avere un breakdown attorno al 90%, carichi altre i quali il poco ROM non bastava più come compenso per eseguire l’alzata.

Vediamo ora il programma in modo da rendere più chiaro quanto detto fin ora:

 

  BIG HORN Panca salita e discesa in 3 secondi
SETTIMANA 1 4x6s 65% 4x5s 60%
SETTIMANA 2 1@8 discesa e salita 3” + 65% 4x4s discesa e salita 3” + 1@8 4x4s 60% + 4×70%
SETTIMANA 3 3x7s 70% 3x6s 65%
SETTIMANA 4 1@8 discesa e salita 3” + 70% 3x5s discesa e salita 3” + 1@8 3x5s 65% + 3×75%
SETTIMANA 5 3x6s 75% 3x5s 70%
SETTIMANA 6 1@9 discesa e salita 3” + 75% 3x4s discesa e salita 3” + 1@9 3x4s 70% + 3×80%
SETTIMANA 7 2x7s 80% 2x6s 75%
SETTIMANA 8 1@9 discesa e salita 3” + 80% 2x5s discesa e salita 3” + 1@9 2x5s 75% + 2x 85%
SETTIMANA 9 2x6s 85% 2x5s 80%
SETTIMANA 10 1@9 discesa e salita 3” + 85% 2x4s discesa e salita 3” + 1@9 2x4s 80% + 2×90%
SETTIMANA 11 1x7s 90% 1x6s 85%
SETTIMANA 12 1@9 (scelta dell’entrata di gara) + 1x4s stesso peso 1x5s 85% + 1×95%

 

  • PANCA 1 e PANCA 4 (STRESSANTE) = progressioni principali

Il blocco di quattro settimane della PANCA 1 è composto da due progressioni fisse crescenti di percentuali e con volume praticamente identico ma ripetizioni calanti, e dalle due sedute di Big Horn. Quest’ultime sono le sedute più interessanti: presentano delle singole con isocinetica, un back off con la stessa percentuale della settimana precedente ma ridotto di due serie sempre in variante isocinetica, e infine un ulteriore singola senza variante. Interessante è sapere che nelle indicazioni di questo programma vi era l’obbligo di rifare nella singola finale lo stesso ramping di quella iniziale.

Tutti i soggetti infatti dalla 4 settimana in poi sono arrivati a fare singole dal 92,5 % in su, fino anche a superare il vecchio massimale. Il potere spingere con solidità carichi sopra al 90% è ovviamente fondamentale per la buona riuscita di un ciclo di allenamento e denota un progresso notevole.

 

  • PANCA 2 (RIGENERANTE) = panca paraolimpica presa media discesa 5 secondi con ramping autoregolati da 5 a 2 ripetizioni e un successivo back off da 6 a 4 serie.

La scelta di questo connubio di varianti è sempre in funzione del ROM ridotto di queste alzate. Si va dunque ad eliminare il leg drive e si aumenta la strada da percorrere stringendo la presa in modo tale da complicare l’alzata esattamente sotto il punto che di solito la rende favorevole a questi soggetti. Non di meno la discesa molto lenta farà percepire la strada come ancora più lunga e faticata costringendo all’utilizzo del dorso per tutta la fase eccentrica.

 

  • PANCA 3 (STIMOLANTE) = panca fermo 3 secondi al petto con schema lineare crescente o per volume o per intensità. In aggiunta una singola ogni 3 settimane sempre fermo 3 secondi.

Vi chiederete ma perché un fermo lungo se abbiamo appena detto che l’errore principale di questi soggetti era la discesa? Semplice! Se non carico la discesa mi ritrovo al petto in un punto difficoltoso da cui uscire e la reazione istintiva è scappare il prima possibile. Dovendoci stare tre secondi anche in questo caso sono costretto a faticare l’eccentrica in modo da poter sopportare un fermo lungo senza troppe paure.

 

  • PANCA 5 (solo se si eseguono 5 sessioni) (RIGENERANTE) = panca stretta a volume dal 50% al 75%.

Anche in questo caso è lampante la scelta della variante: stringere la presa ed eliminare il vantaggio del poco ROM cambiando gli angoli in gioco.

 

Come si nota subito è un programma ciclico con blocchi di 4 settimane. Questo lo rende molto maneggevole per eventuali modifiche semplicemente ripetendo il blocco e/o modificandone le percentuali.

In questo caso specifico le prove di entrata della settimana 12 fanno intuire che a settimana 13 ci sarà una competizione o comunque un TEST.

 

 

Ma perché si è rivelato così efficace?

 

Correggendo la fase eccentrica, rallentandone il tempo, il caricamento dorsale risulta più efficiente e di conseguenza anche la spinta. Dovendo, inoltre, eseguire in variante lenta anche la salita l’uscita dal petto verrà percepita come solida e composta.

Poter maneggiare questi carichi e sentirli “fluidi” in spinta per quanto faticata la discesa, inibisce il soggetto dalla paura dei chili e permette di mantenere un set up efficiente durante tutta l’alzata. Questo inoltre permette poi di ripetere la performance del primo ramping nella successiva panca classica e dopo un lavoro correttivo comunque non indifferente a livello muscolare. A fine sessione vi siete portati a casa due singole pesanti eseguite da manuale e un buon lavoro di carattere tecnico.

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BIG HORN FOR BIG BENCH – bench specialist program

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Di Hideki De Patto

Coach presso Ironfit Monza,

Barbarians Powerlifitng Milano,

Tecnico AIF

Laureato in Scienze Motorie

 

 

Oggi vi presenterò un programma per gli specialisti della Panca piana che è sostanzialmente un’applicazione del metodo Big Horn https://www.facebook.com/136196223160056/videos/667408850612821 .

Ovviamente il programma seppur nato per determinati soggetti può essere utilizzato su chiunque quindi sperimentatelo!

 

Per chi nasce questo programma?

 

Per dei panchisti che avevano nello specifico punti di forza e difetti identici tra loro. Mi spiego meglio: si parla di soggetti (maschili e femminili) che hanno molta mobilità toracica e leve favorevoli, quindi omero piuttosto corto e di conseguenza range of motion ridotto. Tutti i soggetti hanno come tratto comune la poca strada da percorrere col bilanciere e di conseguenza massimali sopra la media delle rispettive categorie di peso.

Nelle tre foto potete apprezzare appunto il loro accentuato arco toracico, dettaglio che si rivela importante nell’esecuzione dalla loro alzata e da cui scaturisce il loro difetto.

 

Foto – Gianluca De Carlo, 2° posto Coppa Italia Distensione su panca FIPE 2018

 

 

Foto – Maddalena Porta, detentrice di diversi podi FIPE

 

 

Foto – Annamaria Chincoli alle prese con 82,5 kg, categoria -57 kg

 

 

Qual è la problematica di fondo da risolvere?

 

Il ROM molto favorevole ha portato i soggetti ad eseguire un movimento “comodo” senza quindi cercare troppa fatica nell’arrivare al petto, proprio perché la strada da coprire era ben poca. Questo li ha portati molto in fretta a carichi importanti facendoli però poi stallare definitivamente. È facile intuire come, dovendo eseguire un percorso breve, l’errore si riscontri in un’eccentrica “vuota” e priva di caricamento. Infatti, la difficoltà per tutti si presentava poi nella fase concentrica, in risalita dal petto, poiché i muscoli di spinta non risultano attivi.

Ricordiamo che una panca efficiente prevede una discesa con un caricamento in cui il gran dorsale viene ingaggiato per far sì che i muscoli di spinta, a cui fa capo il pettorale, siano allungati fino alla fase di fermo al petto e da lì di conseguenza si contraggano per trasmettere un’accelerazione al bilanciere.

 

Come risolvere il problema?

 

La risposta è molto semplice: con una della più basilari varianti che si possano utilizzare, ovvero le isocinetiche. Rallentare infatti discesa e salita fa percepire al soggetto l’utilizzo del dorsale nell’accezione più muscolare possibile sia in eccentrica che al fermo. Inoltre, in uscita dal petto, se l’ingaggio dorsale è stato ben eseguito, ci sarà la possibilità di gestire la velocità di risalita accelerando gradualmente il bilanciere.

 

 

Perché la scelta del Big Horn?

 

L’esigenza era tenere la forbice delle percentuali, nella giornata più stressante sotto questo specifico punto di vista, il più stretta possibile e vicino a quei chili che mandavano in crash l’alzata. In questo caso tutti i soggetti tendevano ad avere un breakdown attorno al 90%, carichi altre i quali il poco ROM non bastava più come compenso per eseguire l’alzata.

Vediamo ora il programma in modo da rendere più chiaro quanto detto fin ora:

 

  BIG HORN Panca salita e discesa in 3 secondi
SETTIMANA 1 4x6s 65% 4x5s 60%
SETTIMANA 2 1@8 discesa e salita 3” + 65% 4x4s discesa e salita 3” + 1@8 4x4s 60% + 4×70%
SETTIMANA 3 3x7s 70% 3x6s 65%
SETTIMANA 4 1@8 discesa e salita 3” + 70% 3x5s discesa e salita 3” + 1@8 3x5s 65% + 3×75%
SETTIMANA 5 3x6s 75% 3x5s 70%
SETTIMANA 6 1@9 discesa e salita 3” + 75% 3x4s discesa e salita 3” + 1@9 3x4s 70% + 3×80%
SETTIMANA 7 2x7s 80% 2x6s 75%
SETTIMANA 8 1@9 discesa e salita 3” + 80% 2x5s discesa e salita 3” + 1@9 2x5s 75% + 2x 85%
SETTIMANA 9 2x6s 85% 2x5s 80%
SETTIMANA 10 1@9 discesa e salita 3” + 85% 2x4s discesa e salita 3” + 1@9 2x4s 80% + 2×90%
SETTIMANA 11 1x7s 90% 1x6s 85%
SETTIMANA 12 1@9 (scelta dell’entrata di gara) + 1x4s stesso peso 1x5s 85% + 1×95%

 

  • PANCA 1 e PANCA 4 (STRESSANTE) = progressioni principali

Il blocco di quattro settimane della PANCA 1 è composto da due progressioni fisse crescenti di percentuali e con volume praticamente identico ma ripetizioni calanti, e dalle due sedute di Big Horn. Quest’ultime sono le sedute più interessanti: presentano delle singole con isocinetica, un back off con la stessa percentuale della settimana precedente ma ridotto di due serie sempre in variante isocinetica, e infine un ulteriore singola senza variante. Interessante è sapere che nelle indicazioni di questo programma vi era l’obbligo di rifare nella singola finale lo stesso ramping di quella iniziale.

Tutti i soggetti infatti dalla 4 settimana in poi sono arrivati a fare singole dal 92,5 % in su, fino anche a superare il vecchio massimale. Il potere spingere con solidità carichi sopra al 90% è ovviamente fondamentale per la buona riuscita di un ciclo di allenamento e denota un progresso notevole.

 

  • PANCA 2 (RIGENERANTE) = panca paraolimpica presa media discesa 5 secondi con ramping autoregolati da 5 a 2 ripetizioni e un successivo back off da 6 a 4 serie.

La scelta di questo connubio di varianti è sempre in funzione del ROM ridotto di queste alzate. Si va dunque ad eliminare il leg drive e si aumenta la strada da percorrere stringendo la presa in modo tale da complicare l’alzata esattamente sotto il punto che di solito la rende favorevole a questi soggetti. Non di meno la discesa molto lenta farà percepire la strada come ancora più lunga e faticata costringendo all’utilizzo del dorso per tutta la fase eccentrica.

 

  • PANCA 3 (STIMOLANTE) = panca fermo 3 secondi al petto con schema lineare crescente o per volume o per intensità. In aggiunta una singola ogni 3 settimane sempre fermo 3 secondi.

Vi chiederete ma perché un fermo lungo se abbiamo appena detto che l’errore principale di questi soggetti era la discesa? Semplice! Se non carico la discesa mi ritrovo al petto in un punto difficoltoso da cui uscire e la reazione istintiva è scappare il prima possibile. Dovendoci stare tre secondi anche in questo caso sono costretto a faticare l’eccentrica in modo da poter sopportare un fermo lungo senza troppe paure.

 

  • PANCA 5 (solo se si eseguono 5 sessioni) (RIGENERANTE) = panca stretta a volume dal 50% al 75%.

Anche in questo caso è lampante la scelta della variante: stringere la presa ed eliminare il vantaggio del poco ROM cambiando gli angoli in gioco.

 

Come si nota subito è un programma ciclico con blocchi di 4 settimane. Questo lo rende molto maneggevole per eventuali modifiche semplicemente ripetendo il blocco e/o modificandone le percentuali.

In questo caso specifico le prove di entrata della settimana 12 fanno intuire che a settimana 13 ci sarà una competizione o comunque un TEST.

 

 

Ma perché si è rivelato così efficace?

 

Correggendo la fase eccentrica, rallentandone il tempo, il caricamento dorsale risulta più efficiente e di conseguenza anche la spinta. Dovendo, inoltre, eseguire in variante lenta anche la salita l’uscita dal petto verrà percepita come solida e composta.

Poter maneggiare questi carichi e sentirli “fluidi” in spinta per quanto faticata la discesa, inibisce il soggetto dalla paura dei chili e permette di mantenere un set up efficiente durante tutta l’alzata. Questo inoltre permette poi di ripetere la performance del primo ramping nella successiva panca classica e dopo un lavoro correttivo comunque non indifferente a livello muscolare. A fine sessione vi siete portati a casa due singole pesanti eseguite da manuale e un buon lavoro di carattere tecnico.

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Crossfit: bilanciere alto o basso?

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Di Simone Carniel.
Docente Accademia Italiana Forza.
Recordman Italiano Powerlifting
Lavora presso Reebok Officine Crossfit occupandosi primariamente dell’ambito Forza.

 

Crossfitter BUONGIORNO!

 

Per quanto tempo sentiremo ancora parlare di battaglie tra high bar e low bar nell’allenamento della sessione back squat?

 

Andiamo ad analizzare un caso studio particolare, partendo dai video di Stefano, Fittest in Italy da 9 anni consecutivamente. Nella sessione era richiesto di eseguire triple pesanti con lo stesso peso: alcune sono state svolte tenendo il bilanciere alto appoggiato sopra il trapezio, le altre incastrandolo in un punto più basso dove il bilanciere non rotolasse sulla schiena durante le fasi eccentrica/concentrica.

High bar

 

 

Low bar

 

Se ci fermassimo a guardare soltanto la prima ripetizione dei tre video, la partita sarebbe chiusa qui: HIGH BAR TUTTA LA VITA. Ma il discorso non è così semplice. Sì, è vero, la più bella tra le prime ripetizioni è quella a bilanciere alto perché Stefano è più rilassato, scarica bene il peso a terra, la traiettoria del bilanciere è molto simile tra discesa e salita.

 

Poi, cosa succede nella seconda e nella terza ripetizione?

 

In high bar, il disastro totale: la linea della prima ripetizione non è ripetibile neanche con il binocolo, il divario tra discesa e salita diventa veramente grande (il cosiddetto “occhio” formato dalla traiettoria del bilanciere) e, quindi, l’alzata perde sinergia e diventa inefficiente a livello di stimolo allenante.

 

E nel low bar, tipicamente un’alzata con una complicazione in più?

 

Se ora, invece, andiamo ad analizzare le due serie in low bar, la differenza iniziale che balza subito all’occhio è la rigidità con cui mantiene il bilanciere sulla schiena già prima di partire. La fase eccentrica diventa quindi più rigida e più frenata rispetto all’high bar, ma la differenza tra le tre ripetizioni all’interno dello stesso set è molto più ridotta rispetto a quando aveva il bilanciere alto.

Ovviamente Stefano, per la sua matrice da crossfitter, è sempre stato abituato a lavorare in high bar, quindi sa cosa fare quando ha il bilanciere comodo sulle spalle. Per contro però, l’inefficienza sulla media/lunga distanza non gli da capacità di accelerare il bilanciere come invece il low bar gli consente di fare. Anche se il movimento è ancora molto grezzo e rigido, (quello che lo fa partire all’inizio un po’ posteriorizzato e finire in buca anteriorizzato, errore estremamente comune) il bilanciere in low bar da a Stefano un gesto tecnico più allenabile e una proiezione nel tempo, una volta “rilassato” nei punti giusti, di generare una linea più coerente e di conseguenza più efficace.

 

 

Ho preso l’esempio di Stefano, non tanto perché nel Crossfit è il più forte da molto tempo, quanto perché a livello strutturale rappresenta il 99% di chi si allena in un box: non a livello muscolare, chiaramente, ma il rapporto tra le sue leve è molto comune.

Se fosse stato un pesista cinese, la mia analisi sarebbe stata totalmente inutile e completamente diversa.

 

CONCLUSIONI GENERALI

 

Avendo avuto la possibilità di vedere una quantità infinita di squat in questi anni, e essendo responsabile della parte STRENGHT di BHT, posso osservare e confrontare tra loro tante tipologie di atleti diversi:

la necessità di renderli più efficaci sotto carico si scontrava con la voglia di verticalità “imposta” dal Weightlifting, che li teneva rigidi e poco efficaci quando poi il carico si alzava.

Abbassando il bilanciere, su chi più e su chi meno, una volta assimilati gli input corretti e il relax nei punti giusti, possiamo inevitabilmente vedere un miglioramento non solo nel massimale di back squat, ma anche nell’essere più efficienti in qualsiasi esercizio con schemi motori similari.

Quindi, ancora una volta, possiamo ribadire un concetto già sentito ma troppo spesso ignorato:

Il transfer di un gesto su altri schemi motori, dipende molto anche dall’efficienza neuromuscolare stessa del gesto di partenza, più che da un tentativo di imitazione, spesso disfuzionale, del gesto target che si vuole migliorare.

L'articolo Crossfit: bilanciere alto o basso? sembra essere il primo su AIF - Accademia Italiana della Forza.

IPERTROFIA – ECCO PERCHè GLI STUDI SUI PESI NELLA PRATICA NON BASTANO

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Di Nicola Marini

Docente Master Accademia Italiana Forza
Osteopata
Coach e responsabile della StrengthLab Padova

 

 

APPROCCIO SCIENTIFICO ALL’ALLENAMENTO

 

Allenarsi unicamente science-based può essere un buon punto di partenza, certamente rassicurante, superato, però, il brio derivante dall’agire per “ipse dixit” si presenta l’esigenza di confrontarsi con la pratica in palestra e, quando i progressi stallano, serve saper fare un passo in più.

 

Come mai limitarsi a praticare ciò che emerge dalla ricerca quasi sempre non è abbastanza per ottenere risultati?

 

Beh, bisogna intanto dire che quando si parla di ottenere risultati bisognerebbe definire cosa si intende: per alcune persone, risultato può voler dire perdere un paio di kg, avere 40cm di braccio, vedere mezzo addominale allo specchio, per quanto mi riguarda, invece, credo che la parola risultati possa configurarsi nel vedere un proprio atleta avvicinarsi ad un 3bw di squat, portare a casa una medaglia in una gara, o magari vedere un natural HP+35 con una bf entro il 15% fare 180/185kg di panca.

Premetto che non ho interesse nel prendere una posizione rispetto l’utilità o meno di avvalersi della ricerca per condurre e pianificare i propri allenamenti, nutro profonda antipatia per chi investe energie in operazioni poco costruttive tipo vendere delle opinioni personali al peso di verità insindacabili; vorrei invece confrontare con voi ciò che emerge da alcuni studi nel merito del topic “ipertrofia” e rapportarlo a ciò che posso osservare io quotidianamente con i ragazzi che alleno; a tal proposito, ci tengo a precisare che parlare di ipertrofia non è sinonimo di parlare di Bodybuilding, citerò infatti un adattamento con cui ho a che fare molto spesso essendo parte integrante del processo di crescita di un Powerlifter, e che anzi talvolta ha occasione di manifestarsi in modo addirittura più significativo in questo sport piuttosto che nel Bodybuilding probabilmente anche con la complicità di un regime alimentare meno restrittivo.

 

 

INTERPRETAZIONE DEGLI STUDI SCIENTIFICI

Ogni qual volta si cerchi di approfondire questo tema da un punto di vista più scientifico che empirico si incorre nel rischio di trasformare l’analisi della ricerca in una caccia alla risposta definitiva, salvo poi rendersi conto che la risposta definitiva che otteniamo finisce per sfumare rapidamente in mezzo ad una nebbia di variabili spesso non prese sufficientemente in considerazione, una su tutte negli studi inerenti le alzate di gara, il livello atletico dei soggetti presi in esame e la loro padronanza nei confronti del gesto atletico praticato.

In effetti non è tanto la ricerca scientifica a non riuscire a dare risposte precise e soddisfacenti alle nostre domande, quanto il fruitore medio della stessa, che tende ad estendere con estrema semplicità le conclusioni di un articolo, che solitamente sono circoscritte ad un contesto ristretto, a ciò che fa lui in palestra.

Il primissimo errore che solitamente si commette aprendo un articolo è quello di accontentarsi di leggere l’abstract (il riassunto dell’articolo),

facendo invece un piccolo sforzo in più e proseguendo nella lettura potremmo imbatterci in un punto molto utile che parla ad esempio dei limiti di quello specifico studio, non sempre sono presenti ma vale la pena verificarlo, servono a indicare i punti deboli di uno studio, in modo che il lettore possa farsi una tara sulla bontà dei risultati e sulle conclusioni; e quando presenti per altro testimoniano una grande trasparenza rispetto le intenzioni degli autori.

 

 

Tipo, quante ripetizioni devo fare?

 

Entriamo un po’ più nel vivo dell’argomento:

una delle domande cui più volte si è cercato risposta, riguarda proprio il numero di ripetizioni ideale per aumentare l’ipertrofia e anche qui riaffiora la smania della risposta definitiva, il numero magico che garantisca sempre dei risultati. Il mix tra credenze popolari, esperienza personale e interpretazioni un po’ “leggere” dei risultati della ricerca crea il cocktail ideale per trarre conclusioni affrettate che spesso si concretizzano in applicazioni distorte di deduzioni scientifiche, tipo il caso del fantomatico “range ipertrofico” delle 8 – 15 ripetizioni che, vorrei fosse chiaro, esiste.

Esiste sulla carta, esiste nel contesto controllato degli studi scientifici, ma posso quindi desumere di potermi allenare tutta la vita facendo 8/15 ripetizioni e sperare di continuare a migliorare?

Sarebbe bello, ma qualcuno di decisamente più intelligente di me una volta disse:

“Dubitare è il primo passo verso la conoscenza”; realisticamente è improbabile, anche se questa è per l’appunto una delle possibili digressioni.

 

 

Un’altra possibilità, più conforme al mio modo di procedere, è interrogarsi su questi dati e capire che forse non è solo una questione di numero di ripetizioni ma anche di qualcos’altro, magari di stress meccanico che riesco a produrre con il mio allenamento? Beh, a quel punto sarebbe chiaro che passare tutta la vita in range ipertrofico utilizzando ad esempio sempre gli stessi carichi avrebbe ben poco di ipertrofico.

Posso immaginare che certe idee siano in qualche modo figlie dell’arte della semplificazione, anche tollerata fino a quando riesce a conservare la pregnanza di significato del messaggio originale, cosa che però accade raramente. Mi perdonerete, quindi, se risulterò prolisso, ma trovo che le pillole di informazione e i concetti predigeriti, siano tanto veloci da assumere quanto da dimenticare.

 

TRE CASI CONCRETI

Ritornando ad insistere ancora per qualche riga sulla ricerca scientifica vi consiglio di visionare 3 studi interessanti sull’argomento, che vi super riassumerò nelle prossime righe ma nuovamente vi invito a prenderne visione in maniera autonoma e più esaustiva online.

  • 1) “Muscular adaptations in response to three different resistance-training regimens: specificity of repetition maximum training zones”

Studio non recentissimo (2002), il più vecchio in realtà tra quelli presi in esame in questo articolo, che però ci fornisce delle indicazioni mediamente utili per affrontare la discussione successiva. L’obbiettivo dello studio in esame è quello di analizzare 3 tipi diversi di range di ripetizioni, fondamentalmente : basso (3-5 reps), medio (9-11 reps), alto (20-28 reps). Con l’obbiettivo di misurare gli adattamenti aerobici, ipertrofici e di forza che emergono da ognuno di questi range. Quello che ne esce è che i migliori adattamenti di forza li ha ottenuti il gruppo che si è allenato a ripetizioni basse, i migliori adattamenti aerobici/metabolici li ha ottenuti il gruppo che si è allenato tra le 20 e le 28 reps, ed infine i migliori adattamenti in termini di ipertrofia sono stati ottenuti dal gruppo che ha lavorato a basse e medie ripetizioni. I limiti dello studio in questo caso riguarda il campione, relativamente poco esteso visto che parliamo di 32 uomini, ma soprattutto il fatto che i soggetti presi in esame sono totalmente deallenati con tutte le conseguenze relative alla disponibilità a sviluppare adattamenti sulla base di una forbice di stimoli molto ampia.

 

  • 2) “Muscle activation during three sets to failure at 80 vs. 30 % 1RM resistance exercise”

Questo è uno studio già un po’ più recente (2015), l’obbiettivo in questo caso è quello di studiare ampiezza e frequenza elettromiografica e attivazione muscolare (iEMG) durante lo sforzo fisico, e sezione trasversa del muscolo (prima e dopo), 3 serie a cedimento utilizzando l’80% del carico massimale e utilizzando il 30% del carico massimale. Per lo studio sono stati selezionati 9 uomini tra i 21 e i 23 anni e 9 donne tra i 23 e i 25 anni. Dalle conclusioni emerge che a elettromiografia l’attivazione muscolare sia superiore nell’allenamento con l’80% rispetto a quello con il 30% del proprio 1RM, però la sezione trasversale è aumentata maggiormente nel post allenamento nel gruppo che si è allenato col 30%, secondo i ricercatori ciò è da attribuirsi ad un accumulo di metaboliti e sostanze di scarto, quindi verosimilmente ad un effetto temporaneo.

 

  • 3) “Total number of sets as a training volume quantification method for muscle hypertrophy: a systematic review”

L’ultimo studio preso in esame è una revisione sistematica del 2018, per chi non fosse informato riguardo questa terminologia, la revisione è solitamente il tentativo di fare un sunto di quanto emerso da tutti gli studi inerenti un determinato argomento, per questo motivo una revisione se ben fatta può avere un valore molto alto nel restituire un’idea chiara e precisa della direzione più conveniente in cui muoversi.

L’intento di questa revisione però si discosta leggermente dal dirci semplicemente quante ripetizioni fare per aumentare la circonferenza del braccio, è direi leggermente più ambizioso e più intellettuale, si pone infatti il problema di descrivere accuratamente il significato della parola “volume”, nel tentativo di comprendere se il volume allenante possa essere descritto come il numero di set e ripetizioni totali in un allenamento ovviamente nell’ambito dell’ipertrofia. Sono stati presi in esame ben 2585 studi, da cui è emerso che effettivamente il volume può essere quantificato utilmente in quel modo fin tanto che le ripetizioni stanno in una media tra le 6 e le 20.

Bene, di qui in poi tornerò a parlare del mio punto di vista e non mi metterò a sindacare su eventuali incongruenze o concordanze con gli studi citati, lascerò a voi il compito di farvi un’idea a riguardo. E’ comunque interessante notare come sempre più in epoca recente la ricerca si sia spostata dal cercare risposte all’interno di una variabile “le ripetizioni” al cercarle nell’ambito più ampio ad esempio di uno stressor, il volume. Dal mio punto di vista questo è intellettualmente un notevole passo in avanti che strizza già di più l’occhio all’idea che il risultato, l’adattamento, si trovi macroscopicamente più in un processo che si sviluppa nel tempo che non in un evento fenomenico.

 

 

CORRELAZIONI PRATICHE TRA RIPETIZIONI ED IPERTROFIA

Già il titolo di questo paragrafo dovrebbe a questo punto iniziare a odorarvi di stantio, e se così non fosse datevi ancora qualche minuto di tempo.

Il punto è: vale davvero la pena chiedersi se fare un alto numero di ripetizioni sia meglio del farne poche per diventare grossi e forti?

Secondo me no, proprio perchè il numero di ripetizioni è una variabile importante in mezzo ad altre decine di fattori, ed acquisisce un peso determinante solo quando inserita in un contesto, solo se viene rapportata ai carichi utilizzati, al numero di serie effettuate, al periodo dell’anno in cui l’atleta si trova, all’età dell’atleta e all’anzianità di allenamento, al suo passato sportivo, alla sua composizione corporea e quindi al sesso, alla sua forza di base ecc..

Uno degli studi presi in esame precedentemente ad esempio ha dimostrato come un elevato numero di ripetizioni fosse in grado di indurre un aumento della sezione trasversa del muscolo nel breve termine, ma da subito si è evinto come questo dato fosse dovuto ad un banale effetto “pump”, siamo quindi davvero convinti che per ottenere una risposta ipertrofica sia preferibile se non indispensabile, fare un alto numero di ripetizioni? Da allenatore abituato a valutare le proprie scelte in modo più empirico che accademico posso dirvi che la risposta dal mio punto di vista è quasi scontata: NO.

Quello che verifico quotidianamente in palestra è che ad ogni aumento dei massimali dei ragazzi che alleno segue una marcata risposta ipertrofica e questo muovendosi per tutto l’anno in un range di lavoro tra un massimo di 8/10 e un minimo di 1 ripetizione.

Volendo ragionare di numeri la questione è perfino più evidente, se teniamo per buono l’ultimo studio preso in esame che parla di volume allenante e anzi vi aggiungiamo un parametro in più ovvero il carico, emergerà un dato in grado di quantificare il numero di kg sollevati in un singolo allenamento ovvero il tonnellaggio (serie x reps x kg) riuscendo a descrivere in modo più accurato l’entità dello stress meccanico apportato da una seduta allenante.

Ed è proprio grazie a questo numero che possiamo intuire come fare 4 serie da 10 ripetizioni (4×10) non equivalga a fare 10 serie da 4 ripetizioni (10×4), a fine di entrambi gli allenamenti avremo effettuato 40 ripetizioni totali, ma nel primo schema a parità di buffer e caratteristiche tecniche (alzate valide) potrò utilizzare molti meno kg che nel secondo schema e ciò renderà almeno sulla carta il 4×10 uno stimolo più blando del 10×4 a parità di buffer.

 

 

E’ POSSIBILE FARE UN PASSO IN PIU’?

 

Lo abbiamo già iniziato a suggerire nella prima parte dell’articolo: quello che davvero conta è lo sviluppo di un processo di crescita, muscolare, coordinativa, tecnica ecc.. E come ben sappiamo questo processo non è mai lineare,

la capacità di strutturare un programma di allenamento non si riassume nel tentare di alzare l’asticella della prestazione o della quantità di stress meccanico nel modo più fantasioso possibile ad ogni allenamento,

questo è lo stesso genere di bias che induce una persona sovrappeso (poco informata) a credere che per dimagrire serva semplicemente diminuire il più possibile le calorie, ed in parte è evidente che potrà servire mangiare di meno, ma se voglio perdere ad esempio 30 kg è inesatto e pericoloso pensare di farlo diminuendo in modo lineare la quantità di cibo ingerito giorno dopo giorno/settimana dopo settimana perchè così facendo incorrerò in un aumentato rischio di effetti indesiderati quali, stalli nel processo di dimagrimento a causa di una soppressione del metabolismo, aumentato rischio di sviluppare disturbi alimentari, carenze nutrizionali, perdita ingente di massa magra, energie insufficienti per la giornata e così via.

Questo parallelismo con la nutrizione serve a farvi capire che è abbastanza fine a sé stesso chiedersi quale sia il numero di ripetizioni ideale per diventare più grossi o più forti, perchè implicitamente ponendoci questa domanda stiamo dando per scontato che sia proprio quello il fattore determinante in grado di farci progredire, quando in realtà non è così. Nell’ottica di un powerlifter non è interessante essere capaci di fare oggi 10 ripetizioni al 70% di squat e domani 12, soprattutto se non sappiamo se quelle 2 ripetizioni in più siano state eseguite con un tipo di tecnica utile a permettermi di chiudere un carico massimale, che differisce moltissimo dal tipo di tecnica ideale a fare il più alto numero di ripetizioni possibile con carico medio-basso, soprattutto se non sappiamo se quelle 2 ripetizioni in più siano inoltre valide in gara oppure no.

La cosa utile è invece da allenatori imparare a rispettare i tempi di adattamento di un qualsiasi soggetto sapendo programmare le sedute in cui cercare di alzare l’asticella, gli allenamenti più pesanti, in modo tale che il nostro atleta arrivi sotto il bilanciere con tutti i presupposti allenanti necessari a permettergli di superarsi portando a casa se richiesto dei personal record. Al contrario in altre giornate dobbiamo prevedere la possibilità di fare un passo indietro in termini di overload, approfittandone magari per lavorare su altre variabili relative ad esempio al controllo motorio, al rinforzo di porzioni dell’alzata in cui manca capacità di attivazione, al recupero ecc.. per permettere poi a chi alleniamo di fare due passi in avanti nei giorni seguenti.

 

 

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Preparazione Atletica: quando avere troppi muscoli diventa un problema

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di Stefano Tintori.
Elite Strength Trainer AIF
Diplomato Corso Alta Formazione 2018
Coach Bergamo Powerlifting.

 

Per chi come noi viene dal mondo del Powerlifting o del Body Building l’incremento della massa muscolare è da sempre un aspetto fondamentale, ricercato e decisamente apprezzato per motivi diversi da entrambe le discipline. In linea di massima nessuno si è mai lamentato di mettere muscoli, anzi qualcuno si venderebbe pure la madre in cambio di un po’ di ipertrofia.

“È sempre bello vedere una persona grossa”

sentii dire 10 anni fa da un mio collega Bodybuilder, ormai in pensione, durante una riunione tecnica nella prima palestra in cui ho lavorato. Una frase ai limiti della sanità mentale, ma che per chi vive i pesi con passione ed estremo piacere può in qualche modo riassumerne l’essenza.

Nella preparazione atletica, invece, l’equazione diventa più complessa, a nessuno frega niente di vedere persone grosse e talvolta si presentano pure situazioni in cui avere troppi muscoli può risultare controproducente.

Vediamo nel dettaglio gli scenari possibili:

 

SPORT DI RESISTENZA

Discipline come per esempio il ciclismo, il triathlon o in generale le corse sulla lunga distanza vengono caratterizzate da uno sforzo prevalentemente aerobico perciò sia in off season che in season vi sarà una chiara esigenza di tenere leggero l’atleta. Avere tanti muscoli in questo caso non aiuterà nella prestazione ma risulterà semplicemente da zavorra.

 

 

SPORT DI FORZA

 

 

Discipline come per esempio il lancio del peso, del martello, o, in generale, tutto ciò che preveda espressione di forza in tutte le sue forme, vengono caratterizzate da uno sforzo prettamente anaerobico. Avere un bel telaio in questo caso invece è fondamentale. Non è un caso che spesso atleti olimpionici delle discipline sopracitate abbiano delle strutture muscolari imponenti e siano in grado di esprimere alti gradienti di forza in alzate olimpiche o di PL.

 

 

SPORT IBRIDI

 

 

Discipline miste, come tutti gli sport singoli o di squadra che prevedono un connubio tra condizionamento aerobico e anaerobico.

Un giocatore di calcio, per esempio, dovrà essere in grado di correre per 90 minuti (resistenza), ma allo stesso tempo reggere agli impatti del difensore e calciare la palla in rete da fuori area (esplosività). Si presuppone, quindi, che qualche muscolo gli faccia decisamente comodo e una solida base di forza è sicuramente il punto di partenza.

Ideale da costruirsi in off season per poi essere mantenuta durante la stagione.

Una componente a mio parere irrinunciabile e importante tanto quanto la componente aerobica.

Nella pratica, però, troppo spesso si tende a ridurre al minimo il guadagno muscolare di un atleta di sport ibrido per paura di fargli mettere peso e renderlo più lento.

Chi aveva provato l’allenamento coi pesi si era anche accorto che gli atleti si erano in qualche modo irrobustiti, diventando tuttavia più lenti; qualcuno, poi, si era acciaccato ed in generale erano calate le prestazioni in campo, giungendo così alla conclusione che la strada era sbagliata, che il bilanciere è meglio limitarlo e l’allenamento della forza con conseguente guadagno muscolare vada utilizzato con il contagocce.

Niente di più sbagliato. Lo strength training eseguito come si deve può solo giovare a qualsiasi atleta.

Diventa una zavorra nel momento in cui assume una pratica più simile al Body Building vecchia scuola che allo Strength Training Moderno, quello caratterizzato da controllo motorio, buffer ed alternanza dei carichi, quello che genera ipertrofia miofibrillare utile alla prestazione piuttosto che ipertrofia sarcoplasmatica ideale magari per chi deve salire su un palco a posare.

Perché il COME faccio pesi fa la differenza, non il QUANTO ne faccio.
Chi non lo capisce semplicemente non ha ancora compreso fino in fondo le vere potenzialità dell’allenamento con i sovraccarichi.

Ricapitolando i muscoli costruiti come si deve servono a tutti, persino ad atleti di resistenza pura consiglierei l’allenamento coi sovraccarichi in moderata quantità: i benefici a livello coordinativo e posturale possono solo che aiutarli, sia nella performance che nel recupero/prevenzione di infortuni.

 

 

UN ESEMPIO REALE

 

Ho potuto constatarlo personalmente qualche anno fa quando una atleta di Triathlon si era affidata a me per 6 mesi di preparazione ad una gara ed era rimasta sorpresa della quantità di bilanciere che le feci utilizzare: 3 sedute settimanali su 7 allenamenti totali.

Non aveva avuto significativi aumenti di peso corporeo (anche perché sfido chiunque a metter peso allenandosi per una gara del genere), ma quando usciva a correre, a nuotare e pedalare ricordo che ripetutamente si meravigliava di quanto “spingesse muscolarmente” e si sentisse “più padrona nei movimenti”.

Dei feedback molto approssimativi da parte sua ma estremamente positivi culminati con la sua miglior prestazione di sempre (aveva una decina di gare alle spalle). Ovviamente l’allenamento aerobico delle 3 discipline aveva avuto un ruolo predominante ma la parte di condizionamento coi pesi, ciclizzata a dovere, era stata la vera novità nella sua preparazione.

 

 

La parte più interessante da sottolineare è il fatto che per la prima volta non avesse avuto infiammazioni articolari durante la preparazione, cosa che invece le succedeva puntualmente da diverse gare.

La vera riflessione non è quindi “quanti muscoli servono”. Ma piuttosto “come li ho costruiti e quanto sono bravo a reclutarli ed utilizzarli”. Perché sarà anche bello vedere una persona grossa ma è ancora più bello vedere una persona grossa che vince.

 

 

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